lunedì 3 maggio 2010

Primo Maggio, le piazze insanguinate del ’sol dell’avvenir’ di Nello Ajello, da Repubblica, 25 aprile 2010

«Il giorno primo maggio prossimo non si dovrà permettere alcuna processione sulle vie e nelle piazze», ordina, in data 20 aprile 1890, una direttiva emanata dal ministero dell' Interno ai «Signori Prefetti del Regno». Con il termine vagamente canonico di «processione» ci si riferisce a cortei, raduni e assembramenti connessi alla celebrazione di quella data: il primo maggio, appunto. Il documento è esposto su un pannello della mostra sulla storia di quella ricorrenza, che, intitolata Il Primo Maggio tra festa e repressione, e organizzata dalla fondazione Pietro Nenni, verrà inaugurata il 30 aprile all' Archivio centrale dello Stato.

La ricorrenza del primo maggio - che ora compie centoventi anni - cominciava a diventare in quella fine Ottocento, un appuntamento radioso o una rituale emergenza. E non soltanto in Italia. Già nel 1889, nel congresso della Seconda Internazionale a Parigi, quel giorno di primavera dell' anno successivo viene per dar vita ad una festa nella quale i lavoratori manifesteranno - fra scampagnate, balli e bicchierate - il proposito di lottare per la giornata di otto ore. Nella risoluzione approvata al congresso si ricorda che una manifestazione di quel tipo è stata fissata per il primo maggio 1890 dalla American Federation of Labor in un raduno tenutosi a St. Louis.

La mitologia del primo maggio era stata segnata, in partenza, da un evento drammatico: proprio in quel giorno, nel 1886, in una fabbrica di Chicago, durante un comizio di protesta contro dei licenziamenti, la polizia aveva fatto quattro vittime tra gli operai. Ci fu poi l' arresto di alcuni sindacalisti anarchici. Quattro di loro vennero impiccati l' 11 novembre. Non a caso, in una delle abituali direttive del nostro ministero dell' Interno - via telegrafo, stavolta - si vietavano, oltre che la festa di maggio, «manifestazioni illegali» eventualmente indette «per anniversario morte anarchici Chicago».

In Italia, comunque, la miccia s' è accesa. La più cruenta fra le manifestazioni del primo maggio si ha a Roma nel 1891: qui, dopo un comizio, la polizia uccide l' operaio Antonio Piscistrelli. L' anno successivo, a Milano, i lavoratori vengono dispersi con durezza. Incidenti si susseguono a Napoli. A Roma, quartiere Testaccio, così gli operai accolgono i militari inviati a reprimerli - dei poveracci che gli somigliano: «Eccoli, sono i fratelli che vengono contro i fratelli!».

La dialettica fra manifestanti e autorità straripa. S' intitola ritualmente Primo maggio un "numero unico" de Il Muratore, edito a Milano il 20 aprile 1892. «Ora va, o Primo Maggio», si legge nell' editoriale, «nei ciechi abituri dei campi, dove si soffre e si dispera. Porta una speranza nelle povere case del proletariato cittadino». Ma che cos' è il primo maggio?, incalza un altro articolo. «È una rivolta, una sedizione? No. È invece la pubblicazione solenne della volontà dei lavoratori...». "Il Primo Maggio e gli operai" è il titolo che campeggia sull' Unione, organo dei repubblicani di Catania. È un veemente attacco alla borghesia firmato da Camillo Prampolini: «Badate», così egli sfida i moderati, «voi siete pochi e noi siamo la moltitudine!». Sullo stesso foglio l' anarchico Amilcare Cipriani esorta i lavoratori a «unirsi e combattere pacificamente fino a quando la pazienza lo permetterà».

Simili avvertimenti scuotono i paladini dell' ordine. Analogo allarme suscitano le canzoni «sovversive». A cominciare da quella, destinata a diventare celebre, che porta la firma dell' «Avvocato Filippo Turati di Milano». Comincia così: «Su fratelli, su compagni / su, venite in fitta schiera. / Sulla libera bandiera / splende il sol dell' avvenir». Nel sequestrare l' inno, le autorità di polizia avvertono che, «ove esso si canti in pubblico» si procederà «all' arresto dei colpevoli».

Tanta severità riflette, è ovvio, il costume del tempo. Nella mostra romana figura un "Regolamento delle Cartiere Meridionali" in cui si elencano le pene inflitte agli addetti per ciascuna mancanza. «Allontanarsi dal proprio posto per fumare o dormire» comporta quindici giorni di sospensione. «Dormire in piedi»: due ore e mezza di lavoro supplementare; sanzione identica per l' atto di «zufolare».

Ma torniamo al primo maggio. Sono così prevedibili gli arresti che la Questura di Roma s' impegna per tempo a trovare una sistemazione ai detenuti. E fa un po' di conti. «Con sfollamenti da farsi in questi giorni potranno aversi nelle carceri circa 70 posti disponibili». Se non bastano, si potrà «usufruire delle Terme». A Napoli i questurini individuano le fogne come possibile quartier generale dei sovversivi. Esse saranno sorvegliate «a cura di quest' Ufficio». Nel documento si censiscono con minuzia le «imboccature» cloacine da vigilare.

Come la ricorrenza è diventata una consuetudine, così cominciano ad esserlo le repressioni. Del tutto consono a questo clima è il telegramma inviato dal pur risoluto presidente del Consiglio Luigi Pelloux al prefetto di Roma in occasione di un primo maggio fine secolo: «Lascio alla Signoria Vostra provvedere come meglio crede purché sia mantenuto divieto pubbliche manifestazioni». Anche alcuni fenomeni di crescita sociale acuiscono gli scontri di piazza. La statizzazione delle ferrovie, ad esempio. Nel 1905, a Foggia, durante una manifestazione contro le norme antisciopero contenute nel disegno di legge per il riordino del traffico, l' intervento della polizia causa quattro morti. Il successivo primo maggio sono vietate in città perfino le processioni religiose. Tanto rigore andrà attenuandosi con il diffondersi di municipi a maggioranza socialista. Sembra sbiadire, così, il tabù del primo maggio e della relativa giornata di sciopero.

Nel 1912 il prefetto di Roma informa la Direzione della P. S. sulle iniziative indette in ciascun paese della provincia per celebrarlo. «Albano Laziale raccoglierà al Municipio gli alunni delle elementari. Ad Anzio repubblicani e socialisti terranno separatamente banchetto». Con l' impresa di Libia e poi con la Grande guerra, l' accento dei proletari cade sull' antimilitarismo. Con i maschi al fronte, cresce la forza-lavoro delle donne. Risveglio femminile, supplemento al Lavoro di Busto Arsizio per il primo maggio 1916, si apre con un "neretto" in cui si ricordano le ore che le redattrici di fabbrica hanno «sottratto al sonno» per compilare quel foglio. Ma poi si va più sul concreto. «Disertate le officine!», si ordina alle lettrici. «Riaffermate la vostra fede nell' Internazionale».

Nel dopoguerra, gli scontri di piazza assumono una valenza particolare. A tre giorni dal primo maggio del 1920, il questore di Roma decide di vietare il corteo, ipotizzando «incidenti incresciosi» ad opera di «elementi antibolscevichi e nazionalisti». Si avverte un' eco di guerra civile. Non per nulla il documento prevede di mettere a guardia di Regina Coeli cento militari muniti di mitragliatrice e di destinarne venti a presidio delle Mantellate, il carcere femminile.

Il primo maggio è ormai in coma. Porterà la data del 19 aprile 1923 il decreto, firmato dal re Vittorio Emanuele III e da Mussolini, con il quale «è soppressa la festa di fatto del primo maggio». Più avanti si stabilisce che «tutte le pattuizioni intervenute tra industriali ed operai per la giornata di vacanza dovranno essere applicate per il 21 aprile (Natale di Roma, ndr )». Trai manifesti a suo tempo sequestrati e ora presenti nella mostra, uno m' è parso eloquente nella sua malinconia. Raffigura il sole dell'avvenire con falce e martello. Porta scritto: «Il 21 aprile sia maledetto. È la festa degli assassini».

(1 maggio 2010)

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