venerdì 31 luglio 2009

I CORRUTTORI NON HANNO COLORE POLITICO

«I corruttori non hanno colore politico»

Di Pietro all'attacco dopo le perquisizioni nelle sedi del centrosinistra a Bari: indagini su tutti, tranne noi

Il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro (Eidon)MILANO - Non si sono fatte attendere le reazioni della politica alla notizia delle perquisizioni in corso nelle sedi dei partiti del centrosinistra a Bari. «Tutte le attività che producono controllo della legalità devono essere sempre benvenute» ha commentato ad esempio il governatore della Puglia, Nichi Vendola, interpellato da Affaritaliani.it. Ma il primo a prendere posizione su quanto sta accadendo è il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro. Che ha buon gioco nel sottolineare come siano incorso indagini «nelle sedi della quasi totalità dei partiti del centrosinistra a Bari ad eccezione di quella dell'Italia dei Valori».
CORRUTTORI SENZA COLORE - Per l'ex pm quanto sta avvenendo «dimostra ancora una volta quel che noi denunciamo da sempre: ossia che i corruttori non hanno colore politico, ma cercano di comprare i favori di tutti coloro che sono dentro le istituzioni da destra a sinistra». «Dimostrano, soprattutto - continua il leader IdV - che in materia di mala-amministrazione e di corruzione politica non si può fare differenza tra i vari partiti, ma esiste un unico grande virus dell'illegalità e dell'interesse personale che può colpire indistintamente se non si stabiliscono regole etiche, di rigore e di salvaguardia. Ecco perchè l'Italia dei Valori ribadisce, ancora una volta, la necessità di una normativa che stabilisca quantomeno che i condannati non possano essere più candidati; coloro che sono sotto processo non possano più svolgere attività di governo, nè locale nè centrale; le aziende e gli imprenditori che si macchiano di reati contro la Pubblica amministrazione debbano essere interdetti dalle gare di appalto pubbliche. Bisogna, in altri termini, mandare un messaggio chiaro: il delitto non paga. Quindi l'esatto contrario di ciò che è avvenuto fino ad oggi, ad esempio con lo scudo fiscale che permette ai tangentari e agli evasori fiscali di riciclare il denaro, cancellando ogni ipotesi di reato».
Daniele Capezzone, portavoce del Pdl (Ap)IL FRONTE DEL PDL - E buon gioco nei commenti lo hanno anche gli esponenti del Pdl: «È evidente che il centrosinistra, una volta di più, ha fatto malissimo ad assumere un atteggiamento giustizialista - dice Daniele Capezzone, portavoce del partito - . Gli improvvidi e a questo punto patetici preannunci di «scossa» di Massimo D'Alema e la canea politico-giornalistica scatenata contro il centrodestra non basteranno a coprire il vero e unico caso di queste settimane: un gigantesco sistema di malaffare nella gestione degli appalti della sanità che investe quasi senza eccezioni lo schieramento di sinistra». In ogni caso, sostiene Capezzione, «il Pdl continuerà ad avere un atteggiamento garantista, come ha sempre fatto in passato. Per sconfiggere il centrosinistra, basta e avanza citare il malgoverno locale e l'inconsistenza nazionale di quello schieramento. Non è certo necessario alimentare contrapposte derive giustizialiste». «Alla luce di quanto sta accadendo in Puglia nell'ultimo periodo - aggiunge invece Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei deputati Pdl - appare quantomai provvidenziale l'iniziativa assunta dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul Servizio sanitario nazionale di occuparsi della sanità pugliese e dell'operato delle strutture e degli enti che ad essa fanno riferimento. Quel che in questa situazione non si può tacere è l'evidente fallimento politico della giunta Vendola, nata e proliferata in aperta opposizione a un tentativo serio e responsabile di razionalizzazione della sanità in Puglia messo in atto dalla precedente amministrazione di centrodestra».

dal quotidiano "la Repubblica" del 30 luglio 2009

UN PREMIER COME CETTO LAQUALUNQUE

31 Luglio 2009
Un Premier come Cetto Laqualunque

E' semplice riempirsi la bocca con frasi del tipo: "ripristiniamo la Cassa del Mezzogiorno, creiamo la Banca del Sud e un nuovo ente per la gestione unificata del piano investimenti".
Il debito pubblico non e' "un bordello" dove si entra, ci si serve e si esce senza pagare. Questo Silvio Berlusconi lo sa benississimo, visti i suoi vizietti privati in pubblica veste. E allora il governo deve dirci: quale copertura hanno gli investimenti promessi al Sud? Come si collocano nel DPEF che rappresenta una sorta di business plan nazionale e che non prevedeva questa partita? Oppure cosa viene sacrificato del DPEF per finanziare questo gettone extra per lo sviluppo del Meridione a cui finora il governo ha solo tagliato fondi?
Non saranno per caso i soliti soldi del Monopoli? O il governo e il Presidente del Consiglio sperano che qualcun altro si faccia carico dell'impegno preso, ad esempio l'Unione Europea, così come a suo tempo i cittadini si fecero carico del debito di Alitalia? La verita' e' che il governo, come e' suo solito fare, riversera' interamente il finanziamento sulle spalle gia' ricurve del debito pubblico al 117%?
E ancora, ripeto, se si stanzia una cifra e' perche' si hanno dei progetti di sviluppo: non si stanziano, quindi, 27 miliardi di fondi "a prescindere" altrimenti la conclusione che se ne può trarre fin d'ora e' che i siciliani non ne vedranno un centesimo. E, ancora, questo fantomatico "nuovo ente per il Sud" da chi verra' nominato? Perche' espropriare le regioni del compito di decidere le priorita' dei propri cittadini? Non sara' mica per evitare che i soldi vengano gestiti da giunte ostili alla corte di Re Silvio? Come al solito conosco le risposte così come sapevo che il Partito del Sud sarebbe morto in culla.
La verita' e' che il Meridione sara' ostaggio di se stesso finche' si affidera' al voto di scambio per ottenere favori, posti di lavoro fittizi e vane promesse per un futuro che questa classe politica non potra' mai offrirgli.
"Più fondi per nulla", uno slogan degno di "Cetto Laqualunque", di Antonio Albanese, che mostra la disinvoltura nell'alimentare un meccanismo perverso che e' alla base dei fenomeni baresi, di cui si parla in queste ore, e che coinvolgono sì la sinistra ma con intrecci anche nel centrodestra di Raffaele Fitto. Fenomeni di corruzione e collusione con la criminalita' che mostrano ramificazioni bipartisan in un gioco a più squadre con un'unica regola: frodare lo Stato ed i cittadini.
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IL PARTITO DEL SUD NON S'HA DA FARE

30 Luglio 2009
Il Partito del Sud non s'ha da fare

Il partito di Forza Italia e' nato su commissione di Cosa Nostra, e' scritto nella sentenza di condanna a nove anni di Marcello Dell'Utri, e la riprova inequivocabile di cio' furono quei 61 seggi su 61 assegnati dall’isola al partito di Arcore alle politiche del 2001.Oggi senza i voti della circoscrizione Sud, e della Sicilia in particolare, il Pdl non sarebbe mai andato al governo per ben quattro volte e l’Udc di Totò Cuffaro avrebbe gli iscritti di un circolo Acli.
La minaccia del Partito del Sud è un chiaro monito rivolto a Silvio Berlusconi che non sta facendo, evidentemente, quanto promesso in quell’antico patto di cui Marcello Dell’Utri è stato garante per quasi un ventennio.
Il Partito del Sud è il segnale che gli accordi politici alla base di Forza Italia in Sicilia sono in discussione. A questo segnale se ne aggiungono altri che potrebbero comunque far parte dello stesso puzzle: la monnezza di Palermo, l’agitazione della Giunta, Lombardo, i messaggi di Riina su mandanti di Stato per le stragi di Capaci e via D’Amelio, le dichiarazioni di Ciancimino jr, la recente condanna a 10 anni e 8 mesi per associazione mafiosa di Mercadante, ex deputato di FI, definito dal pentito Giuffrè “la creatura di Provenzano”.
I messaggi lanciati in questi mesi dall’isola parlano chiaro: i 140 milioni di euro a Scapagnini per il fallimento del comune di Catania e gli 80 milioni all’amico Cammarata per scongiurare quello di Palermo non bastano più. E così il Premier promette nuovi soldi alla Sicilia e lo fa ancor prima di spiegare come verranno utilizzati e con quali coperture finanziarie. Evidentemente l’importante è porre l’accento sulla cifra, prima che sulla destinazione e sulla reale disponibilità. Evidentemente le persone a cui è rivolto il messaggio ne conoscono la destinazione.
Venerdì al Cipe saranno sbloccati quattro miliardi per la Sicilia. Lo hanno deciso a palazzo Grazioli durante uno dei tanti vertici privati in cui si dispone di soldi pubblici.I commensali del vertice erano: il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, per cui la Giunta della Camera martedì ha negato l’autorizzazione a procedere per l’accusa di favoreggiamento; il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, che istituì nel 2002 il volo Alitalia Albenga-Fiumicino per arrivare prima da casa al Parlamento; Raffaele Fitto ministro per i Rapporti con le Regioni, indagato dalla Procura di Bari per corruzione, falso e illecito finanziamento ai partiti; il fido ministro della Giustizia Angelino Alfano, quello del Lodo e del bavaglio alle intercettazioni, per intenderci; e, “dulcis in fundo”, il deus ex-machina, ringalluzzito da questa nuova aureola con cui ha deciso di reinventarsi a metà tra una rockstar e un attore di B-Movie: Silvio Berlusconi che non necessita di presentazioni poiché è ben noto alle procure di mezza Italia. Ecco, ad una compagine del genere non affiderei neanche il budget per un buffet matrimoniale, figuriamoci quattro miliardi per la Sicilia.
“Per il meridione d’Italia non si è fatto mai abbastanza”: in termini di lotta alla criminalità è vero, ma in quanto a soldi nel meridione d’Italia si sono spesi interi Pil nazionali senza risultati apprezzabili: perché? Nelle mani di chi finiscono questi immensi finanziamenti? E come vengono gestiti? La risposta la sappiamo, basti pensare alle indagini Why Not e Poseidon dell’ex pm Luigi de Magistris, e a centinaia di altre simili, che questo sistema politico non poteva permettersi ed ha ostacolato con ogni sua energia.
La verità è che i soldi in questi decenni non sono stati destinati ai cittadini, né ad opere utili allo sviluppo reale del meridione, né all’imprenditoria giovanile.
Il Sud ha bisogno di investimenti, esteri e nazionali, ma prima bisogna riportarvi la cultura dello Stato, anzi lo Stato, di cui Falcone e Borsellino si erano fatti interpreti. Senza lo Stato e le sue garanzie, i capitali esteri, che spesso costituiscono la risorsa principale per lo sviluppo di importanti aree turistiche, non confluiranno mai nel meridione e quelli statali finiranno sempre nelle mani sbagliate.
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mercoledì 29 luglio 2009

WHY NOT E' MORTA

29 Luglio 2009

Why Not e' morta




Le dimissioni del procuratore Luigi Apicella dalla magistratura ci hanno lasciati sgomenti. Ancora una volta, abbiamo dovuto constatare come i poteri forti riescano a tirare i fili e a condurre il gioco, in spregio a tutte le regole democratiche. Per questo, mi preme segnalarvi una riflessione di un bravo pubblico ministero che ha seguito, in prima persona, l’inchiesta Why Not: Gabriella Nuzzi. La sua considerazione è amara, ma veritiera.

Tra l’altro è bene ricordare che Gabriella Nuzzi è stata un pubblico ministero di Salerno, trasferita dal suo ufficio dal Csm, su richiesta del ministro Alfano, proprio per aver osato indagare sul malaffare giudiziario di Catanzaro.

Anche a lei va la nostra solidarietà per il coraggio dimostrato allora nel fare il suo dovere e per quello di oggi nel rivendicarlo.


"L’addio del Procuratore Apicella alla magistratura è un gesto che desta profonda amarezza e sconcerto, che non può e non deve essere “liquidato” nelle brevi, laconiche parole pronunciate dal Presidente dell’A.N.M.

Occorre riflettere a fondo sulle ragioni di questa “scelta” obbligata.

L’opinione pubblica e le forze sane interne delle istituzioni hanno il diritto di conoscere la verità, del perché un intero apparato istituzionale, sulla base di un’inaccettabile menzogna (l’inscenata “guerra tra Procure”) e con tanta unanimità di intenti, abbia attaccato così violentemente dei servitori dello Stato, tolto loro le funzioni inquirenti, bloccato le indagini nelle quali erano impegnati, messo in atto una meticolosa opera di distruzione della loro reputazione personale e professionale.

Siamo stati lasciati soli, nel silenzio e nella indifferenza di chi, per dovere istituzionale oltre che morale, avrebbe dovuto accertare i fatti e tutelarci, in balia di attacchi di ogni genere, senza alcuna possibilità di difesa, senza diritto alcuno (per quanto mi riguarda, neppure quello ad essere madre), folli artefici di un disastro istituzionale o, piuttosto, testimoni scomodi di una verità devastante, in attesa che, lenta e silente, giunga finalmente la nostra eliminazione, la quieti ritorni e la normalizzazione del “sistema” sia definitivamente compiuta.

Stiamo pagando un prezzo altissimo per quella verità ed è in nome di essa che è necessario fare al più presto chiarezza su quanto è accaduto e sta accadendo, perchè nessun magistrato sia più costretto a lasciare, per il proprio onore, il lavoro che ama.

Dott.ssa Gabriella Nuzzi
"


martedì 28 luglio 2009

GIUNTA MONTECITORIO "SALVA" MATTEOLI

Insorge l'italia dei valori: Quanto è accaduto è il solito vergognoso misfatto della casta

Giunta Montecitorio

"salva" Matteoli

Non è stata data l'autorizzazione a procedere nei confronti del ministro a giudizio dal 2004

ROMA- «Un reato ministeriale». Così lo definisce la Giunta per le Autorizzazioni della Camera e per questo ha votato la non autorizzazione a procedere nei confronti del ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, a giudizio dal 2004 con l’accusa di favoreggiamento nell’ambito di un’inchiesta per abusi edilizi sull’isola d’Elba. La Giunta, approvando la relazione del deputato Pdl Maurizio Paniz, ha quindi stabilito che il reato commesso dall’allora ministro dell’Ambiente (cioè aver informato il prefetto di Livorno di un’inchiesta a suo carico riguardante la costruzione di un complesso edilizio sull’Isola d’Elba) è attinente alle sua funzioni ministeriali. E s e la prende con le toghe di Livorno dicendo che da parte loro c'è stato nei confronti di Matteoli del «fumus persecutionis».

IL VOTO- La maggioranza ha votato compatta a favore della relazione di Paniz, che ora passa al vaglio dell’Aula, tranne Giuseppe Consolo, legale di Matteoli, che, come annunciato, non ha partecipato. L’opposizione ha votato contro ad eccezione della deputata del Pd Donatella Ferranti che ha ritenuto la votazione della Giunta «illegittima» in quanto, come spiega il Presidente Pierluigi Castagnetti, «l’autorità giudiziaria non ci ha dato comunicazione di nulla: nè dell’archiviazione del procedimento, nè della richiesta di autorizzazione a procedere». Lo scorso 9 luglio, infatti, la Corte Costituzionale aveva annullato il rinvio a giudizio del tribunale di Livorno nei confronti di Matteoli dando ragione alla Camera dei deputati che aveva sollevato nella XV legislatura un conflitto tra poteri. La Giunta di Montecitorio, tuttavia, prima di pronunciarsi avrebbe dovuto attendere, spiega ancora Castagnetti, «la comunicazione da parte dell’autorità giudiziaria del proprio provvedimento di archiviazione».

LE REAZIONI- Per Antonio Di Pietro, presidente dell'Italia dei valori, «con un indecente colpo di mano la Giunta per le autorizzazioni ha scippato alla giustizia ordinaria e alle regole costituzionali un pezzo da novanta della sua casta: il ministro Matteoli». Gli fa eco anche Donatella Ferranti: «È un atto illegittimo. Spero che il presidente della Camera valuti attentamente la gravità e le possibili conseguenze, anche di violazione dei regolamenti parlamentari di quanto accaduto».


dal quotidiano"Corriere della Sera" del 28 luglio 2009

lunedì 27 luglio 2009

Per non dimenticare Peppino Basile

Nella notte fra il 14 e il 15 giugno Peppino Basile, consigliere comunale a Ugento e consigliere provinciale dell'Italia dei Valori nella provincia di Lecce, è stato assassinato con 19 coltellate. Le prime reazioni di quell'omicidio furono immediatamente di dire che eravamo di fronte a un omicidio di tipo passionale e che ci fossero dietro moventi di natura personale e familiare.

Per la verità la prima voce che venne alla luce fu quella del sindaco. Noi non abbiamo mai creduto che dietro l'omicidio Basile ci fosse il movente passionale. In realtà Basile ha sempre denunciato quello che chiamava "il sistema" in una realtà come quella del Salento, che vedeva insieme l'illegalità di alcuni esponenti della Pubblica Amministrazione, gli interessi criminali e gli interessi dell'imprenditoria a discapito del territorio, della gente e dei cittadini ugentini.
Lo ha fatto denunciando le discariche, gli interessi della Erg intorno alla costruzione di un grande parco eolico nei pressi di Ugento. Lo ha fatto rispetto ad un mega villaggio che è stato costruito all'interno di un parco naturale.

A un anno di distanza stiamo ancora brancolando nel buio: non ci sono arresti, non ci sono indagati, non se ne conosce il movente. Sappiamo solo che 3 giovani sono stati fermati dalla Polizia. Interrogati e rilasciati, sono gli autori materiali delle scritte sui muri che per 2 anni hanno accompagnato la vita di Peppino Basile, che lo minacciavano di morte. Questi 3 giovani, sappiamo per loro stessa ammissione apparsa sui giornali locali, sono 3 esponenti di Alleanza Nazionale. Uno di questi è persino nipote del sindaco.

Per aver denunciato questa vicenda sono stato anche querelato dal sottosegretario Mantovano, che ha considerato in una sua intervista un omicidio dalla rapida soluzione.
A oltre un anno di distanza questa rapida soluzione ancora non c'è. Malgrado l'impegno di tante persone per bene. A cominciare da Don Stefano Rocca, il parroco di Ugento che insieme a noi con la sua capacità e la voglia di rompere il sistema di omertà che accompagna questo omicidio irrisolto, sta cercando di squarciare il velo. Cominciano a venir fuori anche le voci discordanti, le voci dissonanti, il dissenso rispetto a tutto questo. Compreso la pubblicazione di un libro che si chiama "Il sistema" dove sono raccolte le battaglie di Peppino Basile.

Peppino Basile non è morto perché qualcuno si è alzato di notte e ha deciso di ucciderlo, come disse il giornale "Il Messaggero", perché andava con le minorenni. Peppino Basile è un pubblico amministratore, è un consigliere comunale e provinciale eletto dai cittadini che faceva semplicemente il proprio dovere. Cioè quello di chiedere che la Pubblica Amministrazione fosse amministrata in maniera trasparente, legale. Che prima di tutto ci fosse il bene comune della collettività.

venerdì 24 luglio 2009

l'associazione ambientalista Fare Verde ci informa di quello che è avvenuto ieri in Senato

Numeri truccati in Senato

per bloccare il solare

termodinamico

Notizia del 23-07-2009 | notizie ecologiche di Fare Verde su Facebook condividi su Facebook

I senatori che hanno presentato ieri la mozione per bloccare il solare termodinamico, criticano la necessità di spazi molto ampi per realizzare impianti solari termodinamici e fanno un aperto e sfrontato confronto con la tecnologia nucleare, considerando il "minor spazio occupato dalle unità nucleari. Ma anche da una rapida lettura della mozione si comprende subito che i numeri sono truccati.
Essi considerano solo lo spazio occupato dall'impianto nucleare senza conteggiare le aree circostanti - prosegue De Maio - che, come già accaduto in molte altre occasioni, vengono interdette a qualsiasi attività agricola o di approvvigionamento idrico e di fatto sottratte alle attività umane. Tanto che lo stesso Governo prevede indennizzi per le popolazioni che vivono in aree limitrofe alle centrali. Uno degli ultimi casi resi noti è quello di Tricastin, in Francia dove a seguito di una perdita di radioattività è stata emanata una ordinanza che vietava il prelievo acqua e prodotti ittici e agricoli nell'area della centrale. E non si tratta di casi isolati: tra il 2001 e il 2008 ci sono stati 1.767 incidenti sulla sicurezza degli impianti nucleari in Gran Bretagna, la metà dei quali giudicati dagli ispettori come incidenti "abbastanza gravi".
Allo stesso modo i senatori pro nucleare non fanno alcun cenno alle aree di stoccaggio delle scorie, al momento tutti temporanei, che pure diventano siti a rischio non adatti allo svolgimento di alcuna attività umana.
Infine, da dati ENEA si evince che la superficie necessaria per produrre un terzo del fabbisogno italiano di energia elettrica con il solare termodinamico è pari a quello necessario per la costruzione di 15 centrali nucleari: scenario altamente improbabile per la mancanza nel nostro paese di un così grande numero di siti idonei alla realizzazione di una centrale nucleare.

Queste semplici considerazioni fanno apparire questa mozione come l'ennesima forzatura del Governo per favorire il nucleare francese e determinare uno scenario in cui imprese italiane e ricerca nazionale svolgeranno un ruolo di comprimari. Al contrario, il solare termodinamico, che ha l'enorme vantaggio di accumulare l'energia solare per sfruttarla anche di notte, potrebbe attribuire all'Italia un ruolo di protagonista.
Nel Lazio, l'assessore Zaratti ha già firmato un accordo con Confindustria Lazio per la realizzazione di una centrale solare termodinamica della potenza di 35 MW. Così, mentre il Governo canadese ha sospeso una gara per due reattori atomici per eccesso di costo e la stessa Francia nuclearista ha varato un piano solare che punta installare nel Nord Africa ben 20.000 MW, secondo una pattuglia di senatori, l'Italia dovrebbe rinunciare ad una tecnologia sulla quale tutto il mondo sta investendo per favorire una tecnologia degli anni '50 come quella nucleare. Un mozione semplicemente assurda, oltre che truccata.

Evidentemente il senatore Gasparri, che figura tra i firmatari della mozione, vuole cambiare il nome dell'associazione di cui è presidente da "Italia protagonista" a "Italia comprimaria".

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La mozione n. 1-00155 che chiede al governo di non investire più nella tecnologia solare termodinamica è stata firmata dai senatori D'ALI' , GASPARRI , QUAGLIARIELLO , VICECONTE , ALICATA , CORONELLA , DELL'UTRI , DIGILIO , GALLONE , NANIA , NESSA , ORSI.
(http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=16&id=427420)

giovedì 23 luglio 2009

lettera aperta dell'On. Di Pietro al sig. Presidente della Repubblica Napolitano

Riteniamo opportuno trascrivere il testo dell'art. 74 della Costituzione che è il seguente:
Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione.
Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata.


22 Luglio 2009

Lettera aperta a Giorgio Napolitano




Pubblico una mia lettera inviata al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Gent.mo Presidente,

lo scorso 15 luglio Lei ha firmato e promulgato una legge in materia di sicurezza che la maggioranza parlamentare, sotto la mannaia del voto di fiducia imposto dal Governo Berlusconi, aveva da poco approvato.

In sede di promulgazione, però, Lei così aveva qualificato quel testo di legge (e cito testualmente quanto da Lei messo nero su bianco in una contestuale lettera indirizzata proprio a Berlusconi):

- “…dal carattere così generale e omnicomprensivo della nozione di sicurezza posta a base della legge, discendono la disomogeneità e estemporaneità di numerose sue previsioni che privano il provvedimento di quelle caratteristiche di sistematicità e organicità che avrebbero invece dovuto caratterizzarlo…”;

- “…è indispensabile porre termine a simili prassi, specie quando si legiferi su temi che, come accade per diverse norme di questo provvedimento, riguardano diritti costituzionalmente garantiti e coinvolgono aspetti qualificanti della convivenza civile e della coesione sociale…”;

- “…è in giuoco la qualità e la sostenibilità del nostro modo di legiferare…”;

- “il nostro ordinamento giuridico risulta seriamente incrinato da norme oscuramente formulate, contraddittorie, di dubbia interpretazione o non rispondenti ai criteri di stabilità e certezza della legislazione…”;

- “…aggiungo di aver ravvisato nella legge anche altre previsioni che mi sono apparse, sempre a titolo esemplificativo, di rilevante criticità e sulle quali auspico una rinnovata riflessione, che consenta di approfondire la coerenza con i principi dell’ordinamento e di superare futuri o già evidenziati equivoci interpretativi e problemi applicativi…”.

Fatte queste premesse Lei, sig. Presidente Napolitano, così conclude la sua lettera ufficiale:

“…Il Presidente della Repubblica non può restare indifferente dinanzi a dubbi di irragionevolezza e di insostenibilità che un provvedimento di rilevante complessità ed evidente delicatezza solleva per taluni aspetti, specie sul piano giuridico…”.

A questo punto, qualsiasi persona normale si sarebbe aspettata che Lei, sig. Presidente, fosse conseguente con le premesse e le considerazioni da Lei stesso espresse e applicasse l’art. 74 della Costituzione che testualmente recita (e Lei lo sa bene!): “…il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione…”.

Insomma, a norma di legge costituzionale, poteva – e, secondo noi, doveva – non controfirmare né promulgare la legge ma rinviarla al Parlamento con le stesse identiche motivazioni con cui ha scritto la “letterina di rimprovero” al Capo del Governo Berlusconi (lettera, a nostro avviso, del tutto irritale giacchè la Costituzione assegna al Presidente della Repubblica il potere di inviare “messaggi” alle Camere (art. 74 Cost.) ma non al Governo).

Lei ha ritenuto di comportarsi diversamente ed a noi cittadini (e rappresentanti di cittadini, in quanto parlamentari eletti) non è restato altro che prenderne atto ed esprimere le nostre riserve e valutazioni.

Lei, però, è andato oltre e si è messo a polemizzare con me, che l’avevo invitata a non firmare né a promulgare la legge, affermando (anche qui cito testualmente):“…chi invoca polemicamente e di continuo poteri e perfino doveri che non ho, mostra di aver compreso poco della Costituzione…” (ovviamente scatenando una scontata litania di improperi nei miei confronti).

Ciò premesso, mi sia permesso – pur con il rispetto che qualsiasi cittadino deve avere nei confronti del Presidente della Repubblica – di ribadire la palese contraddittorietà tra le sue valutazioni sulla legge in questione (da Lei stessa definita piena di “…disomogeneità e estemporaneità di numerose sue previsioni…incoerenza con i principi dell’ordinamento…equivoci interpretativi…problemi applicativi…norme oscuramente formulate, contraddittorie, di dubbia interpretazione, non rispondenti a criterio di stabilità e certezza della legislazione…) e la “decisione” adottata (sottoscrizione e promulgazione della legge).

Siccome però Lei conosce bene la Costituzione, Le chiedo:

- è vero o no che vi è contraddizione evidente (perfino letterale) fra la “motivazione” ed il “dispositivo” del suo provvedimento (dice che la legge è sbagliata ma la controfirma lo stesso)?

- è vero o no che, in questi casi, Lei ha il potere (e perfino il dovere, per usare le sue stesse parole) di non promulgare immediatamente la legge ma rinviarla alle Camere, con un messaggio motivato (art. 74 Cost.)?

- è vero o no che invece Lei non ha il dovere di inviare “messaggi” al Capo del Governo (e nemmeno letterine a mò di rimprovero come “piume d’oca”)?

- è vero o no che anche la legge sulle intercettazioni (e annesso bavaglio all’informazione) già approvata da un ramo del Parlamento è un’altra legge incostituzionale e contraria ai principi generali dell’ordinamento? E, se è vero, perché Lei si è chiamato il Ministro della Giustizia per esprimergli le Sue perplessità e non le ha esternate con un formale “messaggio” alle Camere (art. 87 Cost.) per far sapere anche a noi parlamentari eletti dal popolo le sue valutazioni?

- è vero o no che anche sul Lodo Alfano (quella legge ad personam che Berlusconi si è fatta fare per non farsi processare) Lei ha usato il “guanto di velluto” firmando e promulgando una legge che ora ogni Tribunale d’Italia sta contestando come incostituzionale?

è vero o no che - nelle more delle decisioni della Corte costituzionale sul predetto Lodo Alfano - lo stesso Presidente del Consiglio ed il Ministro della Giustizia hanno partecipato ad una “privatissima” cena proprio con due giudici della Corte Costituzionale? E, se è vero, vuole spiegarci Sig. Presidente della Repubblica, come intende assicurare ai cittadini (ed a noi parlamentari che li rappresentiamo) che la Corte Costituzionale non sia stata compromessa da interventi e condizionamenti esterni?

La prego, sig. Presidente Napolitano, mi risponda nel merito, invece di offendermi anche Lei gratuitamente.

Con ossequio.

Antonio Di Pietro
(Presidente Italia dei Valori)


flash2.jpg"Meglio la scimitarra che la piuma"
"Napolitano si era espressamente pronunciato, in occasione di un disegno di legge, sulla necessità di porre un termine alla prassi di provvedimenti eterogenei adesso ci si trova davanti ad un decreto, che più eterogeneo di così non poteva essere, che comprende la riforma delle pensioni, una sanatoria sulle badanti, uno scudo fiscale. Il Capo dello Stato ora cosa farà? Scimitarra o piuma?".
Antonio Borghesi

mercoledì 22 luglio 2009

Tutti a Vasto (CH) per il 4° incontro Nazionale dell’Italia dei Valori

Cari Amici,

ho il piacere di informarvi che anche quest’anno ci ritroveremo a Vasto (CH) per il 4° incontro Nazionale dell’Italia dei Valori, che si svolgerà presso Palazzo D’Avalos – Piazza L.V. Pudente da venerdi 18 a domenica 20 settembre.

La manifestazione, come ogni anno, prenderà il via con il mio discorso di apertura lavori alle ore 10.00 di venerdi 18 settembre e si chiuderà alle ore 13.00 di domenica.

E’ passato un anno estremamente intenso dal punto di vista politico e nel quale molte cose sono cambiate, ad iniziare dal nostro partito. L’Italia dei Valori ha ottenuto un risultato straordinario, vedendo raddoppiare i propri consensi rispetto alle politiche del 2008, e l’8% dei voti ottenuti alle ultime elezioni Europee ha definitivamente consacrato il nostro partito forza politica di assoluto rilievo nel sistema nazionale.

L’appuntamento di Vasto sarà la sede migliore per fare il punto della nostra attuale azione politica e tracciare le linee di quella futura, attraverso incontri e dibattiti sui principali temi della politica italiana.

Ulteriori dettagli e delucidazioni (anche con riferimento alle convenzioni alberghiere) saranno nei prossimi giorni pubblicati sul sito www.italiadeivalori.it.
Per ulteriori informazioni potete contattare la Sede Nazionale del partito (Roma, Via di Santa Maria in Via, 12- tel. 06/97848144, fax. 06/97848355, e-mail: info@italiadeivalori.it).

Vi aspetto,

Antonio Di Pietro
Presidente Italia dei Valori

PUZZI PERCHE' SEI MERIDIONALE

La donna ha denunciato i comportamenti razzisti dei compagni a una tv locale

«Puzzi perché sei

meridionale»


La mamma gli fa

cambiare scuola

Gli altri alunni intonavano canzoni contro i napoletani,
e disinfettavano le penne che lui toccava

TREVISO - I compagni di scuola lo hanno preso di mira fino a quando sua madre, una donna napoletana ha deciso di trasferire il figlio 12enne in un'altra scuola media. Era stanca delle offese e dei comportamenti razzisti che il ragazzino subiva dai compagni. È accaduto a Treviso. La donna, che ha raccontato la vicenda all'emittente televisiva "Antenna Tre Nordest", ha sostenuto che il figlio veniva preso di mira in quanto «meridionale».

NESSUNA DENUNCIA -
La signora, che non ha presentato però alcuna denuncia, ha spiegato che gli altri alunni lo sbeffeggiavano, intonando canzoni contro i napoletani, dicevano che avevano paura di lui, «perché figlio di un camorrista», e lo emarginavano durante le attività scolastiche e ricreative. Tra i gesti più odiosi riferiti dalla donna, anche l'abitudine di alcuni compagni del figlio di disinfettare le penne dopo che lui aveva toccate «perché puzzava». La signora ha provato a far presente la situazione alle insegnanti della scuola - un istituto del centro di Treviso - ma si sarebbe sentita rispondere che era il suo ragazzo ad essere problematico.

IL NUOVO MOSTRO: LARAISAT

21 Luglio 2009

Il nuovo mostro: LaRaiSet




Autore Pancho Pardi Pancho Pardi

Avremmo dovuto capirlo nel 2006 quale sarebbe stata l'evoluzione del conflitto di interessi, quando il governo Berlusconi finanziò con fondi pubblici l'acquisto di decoder (di produzione della Solaris, proprietario del fratello Paolo) per la diffusione del digitale terrestre.

All'alba dello spegnimento del sistema televisivo analogico, il presidente del consiglio non ha più remore: il digitale terrestre è diventato terreno di conquista dell'etere con l'obiettivo di annichilire la concorrenza, rappresentata non più dalla Rai ormai piegata da anni di corrosione negli acidi berlusconiani, ma da Sky, azienda di Rupert Murdoch, magnate del satellitare.

Archiviati i manierismi, si è arrivati alla prima bordata a novembre quando il primo pacchetto anticrisi del governo ha imposto l'aumento dell'Iva al 20% per le tv satellitari, proprio quando il governo Brown, per arginare la crisi, la diminuiva. A settembre sarebbe previsto un secondo intervento del governo a favore di Mediaset, per risollevare le sorti dell'azienda proprio lì dove risulta da tempo carente: un provvedimento del Viceministro Romani che diminuisca il tetto pubblicitario per le tv con canone (Rai) o abbonamento (Sky). Questo è solo l'inizio.
Infatti, la vera genialità del pubblicitario che alberga nel premier si esprime nella neonata Tivùsat.

Si tratta di una nuova cordata che nasce dall'unione di Rai (48%) Mediaset (48%) e Telecom media (La7) (4%) che ha come obiettivo la conquista del mercato satellitare.

C'è da riflettere: quelli che nel mercato della tv analogica sono concorrenti, si uniscono per dominare un nuovo mercato con l'intento - nemmeno tanto celato - di affondare Sky.
A margine della nascita del "mostro digitale" c'è la trattativa Rai-Sky, per definire la permanenza o l'uscita della Rai dal pacchetto Sky, contravvenendo peraltro al principio della neutralità tecnologica, per cui i canali pubblici dovrebbero essere presenti in chiaro in ogni settore.

Quello che stiamo vendendo nascere è un conflitto di interessi all'ennesima potenza: una piattaforma satellitare dominata dal padrone di Mediaset, Presidente del Consiglio e controllore dell'emittente pubblica.

Inutile chiedersi dove finiranno la libertà di stampa e di espressione, la garanzia del pluralismo dell'informazione.
Tutto schiacciato sotto gli affari privati di Silvio Berlusconi, che ancora una volta utilizza la tv pubblica, stavolta come testa d'ariete, per affossare il concorrente dell'azienda di casa e contemporaneamente assumere il controllo capillare del nuovo panorama digitale dal primo di agosto.

Gli indizi a favore della tesi appena esposta sono molteplici.
Il direttore di Tivùsat è Alberto Sigismondi, ex direttore dei contenuti digitali di Mediaset.

Davide Bogi, proveniente dal settore Marketing di Mediaset è direttore marketing di Tivù.

L'associazione DGTVi, che ha lo scopo di promuovere la transizione da analogico a digitale, e ha come soci Rai, Mediaset, Telecom, Aeranti Corallo, ha per presidente Andrea Ambrogetti, già Direttore delle relazioni istituzionali Italia Mediaset.

Con il digitale terrestre si libererà un corposo numero di frequenze, che potrebbero essere utilizzate per la banda larga, direzione intrapresa da tutta Europa, ma per ora l'Italia ha deciso di non investire in questo senso, dando tutte le frequenze alle sole tv.

A sancirlo è una delibera dell'AGCOM, che destato perplessità nel commissario Nicola D'Angelo, che ha infatti dichiarato all'Espresso: "Io e Sebastiano Sortino siamo stati i soli ad aver votato contro. Siamo contrari perché si stabilisce che ci sarà una gara, non un'asta vera e propria, per assegnare le frequenze liberate, inquadrate in cinque multiplex, e perché potranno parteciparvi solo le tv. Di conseguenza, non resta nessuna frequenza libera per i servizi innovativi in banda larga e si lasciano intatti gli attuali rapporti di forza televisivi, senza spazio per il nuovo".

Come se tutto questo non bastasse, l'ultimo atto della vicenda Rete4 - Europa7 si è consumato ai danni di Rai uno, che ha dovuto cedere le proprie frequenze per fare spazio al canale di Di Stefano, che ovviamente non potrà accettare di entrare nel mercato analogico in vista del suo prossimo tramonto.

Di fronte al rischio della "strategia della tenaglia" che Berlusconi ha escogitato ai danni di Sky, pensando di poter utilizzare la Rai come se fosse a sua esclusiva disposizione, è stata presentata dal sottoscritto, capogruppo in Vigilanza Rai di Idv, una risoluzione in cui la commissione invia degli "indirizzi" alla Rai.

I punti cardine sono elementari: via i partiti dalla Rai. Via le appendici di Mediaset. No all'utilizzo della Rai per la costruzione di un mostro oligopolista. No agli sprechi per il passaggio al digitale.


MEGLIO LA SCIMITARRA

21 Luglio 2009

Meglio la scimitarra

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La Costituzione della Repubblica Italiana e' la legge fondamentale e fondativa dello Stato italiano.

Quando fu scritta e approvata nel 1948 la storia d’Italia era fatta da uomini di tutt'altra integrità e da politici di tutt'altra levatura rispetto a quelli che attualmente ci ritroviamo nelle istituzioni. Allora le leggi si scrivevano leggendo la Costituzione per ricalcarne i principi, oggi si consulta per trovare zone d’ombra in cui poter incuneare un decreto porcata che la violi nello spirito, magari salvaguardando la forma.

Pensare all’azzeccagarbugli Niccolò Ghedini che studia la Costituzione per infilarci il Lodo Alfano, la legge sulla sicurezza e quella sulle intercettazioni è uno spettacolo che un’opposizione seria non può tollerare, e l’Italia dei Valori non lo tollera.

Luigi Einaudi non avrebbe mai immaginato un governo come il "Berlusconi IV", né avrebbe firmato e promulgato una legge come il Lodo Alfano.

I giudici della Consulta nel 1955, anno della nascita dell’organismo, non avrebbero mai immaginato di poter cenare con Mario Scelba, allora Presidente del Consiglio, se costui fosse stato interessato qualche mese dopo da un giudizio della Consulta. E se lo avessero fatto, Einaudi, in qualità di Capo dello Stato, si sarebbe sicuramente espresso con toni tutt’altro che concilianti.

La Costituzione va difesa perché è il fondamento della democrazia e ove questa dovesse presentare zone d’ombra, e non è il caso delle leggi sulla sicurezza, sulle intercettazioni e Lodo Alfano, che sono palesemente anticostituzionali, ci si deve affidare non agli azzeccagarbugli di palazzo, ma al senso delle istituzioni e al volere popolare.

Gli italiani vogliono il Lodo Alfano? No.

Hanno dovuto subirlo per decreto. E’ accettabile estenderlo anche a reati compiuti prima del mandato su cui insiste? No.

Gli italiani vorrebbero che a vigilare sulla loro sicurezza siano comuni cittadini, a loro spese e a loro rischio, piuttosto che forze di polizia dello Stato che, comunque, già pagano? No.

Gli italiani vorrebbero eliminare le intercettazioni, come strumento di indagine dei giudici, per lasciar delinquere criminali e politici corrotti? No.

La prova di questo sta nel fatto che coloro che hanno proposto queste leggi non ne hanno parlato in campagna elettorale, salvo poi raggirare i cittadini dopo il voto, così come accadde per l’indulto bipartisan del governo Prodi. Magari il “rotear di scimitarra sarà vano” per ora, ma quando il vento cambierà, e cambierà, non voglio essere tra coloro che avrebbero potuto scegliere tra una piuma ed una spada, ed hanno scelto la piuma.

flash2.jpg "Beppe Grillo? Magari"
"Grillo non ha i requisiti per iscriversi al Pd, perché ha ispirato e fa parte di un movimento che è contrapposto al Partito democratico" così Maurizio Migliavacca, responsabile organizzativo del Pd ha ribadito oggi il No a Grillo del suo partito. Molti mi hanno scritto chiedendomi di fare entrare Beppe nell’Italia dei Valori “se ci tengo a vederlo in politica”. A costoro rispondo: “Magari fosse, visto che Beppe Grillo fa parte di un movimento democratico che ha moltissime convergenze programmatiche con l’Italia dei Valori”, ergo: “nessun problema a tesserarlo, anche oggi stesso, in qualsiasi circolo sul territorio".
Antonio Di Pietro
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domenica 19 luglio 2009

LA RABBIA DELLA BASE CONTRO I VERTICI DEL PD

il popolo dei democratici:

"voi censurate grillo"

Esplode la rabbia della base:


"Il Pd è peggio dei Tg di Berlusconi"

I Democratici chiedono di segnalare le notizie censurate dai telegiornali. La risposta sul web: "Siete voi che censurate Beppe e la sua candidatura".

«Italia: non pervenuta. Segnalaci le notizie che i Tg nascondono». Il banner pubblicitario fa bella mostra di sé sulla prima pagina del sito www.partitodemocratico.it. Ben visibili i loghi del Tg1 e del Tg5. Veri «nemici» della libera informazione nel nostro Paese. Basta cliccarci sopra per accedere alla sezione del sito riservata ai «mobilitanti», cioè ai volontari del Pd. Non persone qualunque, quindi, ma veri e propri supporter dei Democratici. Ed ecco la sorpresa.


Volete sapere contro chi si scaglia l'ira dei «mobilitanti»? Proprio contro il Pd. Altro che Tg1 e Tg5. La vera censura, per i sostenitori Democratici, è quella di chi non vuole saperne di candidare Beppe Grillo. «Perché non si trova traccia nel sito web del Pd della candidatura di Grillo? - domanda Filippo Colsetti - E poi parlate di "operazione verità"!!» «Siete dei barboni - gli fa eco Angelo Santo -, scrivete sul vostro sito un mare di balle, e poi pretendete che gli altri vi segnalino le cose». «Ma vi rendete conto? - insiste Laura - Spaventati dal canto di un Grillo. Vergogna! Siete conniventi! Non siete un'opposizione, siete una grande sezione Pdl». Qualcuno come Marco, forse per rimanere in tema, riserva una citazione ai direttori dei telegiornali «nemici»: «Ma chi credete di prendere in giro? In questo sito siete i primi censori di questo Paese! Peggio di Minzolini, Fede e Mimun! Fate candidare Grillo!!! Un (ex?) elettore».


E sono in molti quelli che annunciano che non voteranno più il Pd. «Fate candidare Grillo!!!! - attacca Sara - Sono stra delusa della vostra reazione antidemocratica. Togliete la parola "democratico" dal vostro partito ed andate tutti quanti ad abbracciare Papi. Da ora in poi il mio voto scordatevelo!!!» «Prima comunista e poi democratico - rilancia Alessandro -, adesso dopo il vostro rifiuto INDEMOCRATICO al Grillo ho finito di stare con voi. Come emerso dalle ultime votazioni, l'unica alternativa a Berlusconi è Di Pietro. Non l'ho mai creduto fino alla vostra decisione e negazione a Grillo. Saluti al Pdi - Partito degli Indemocratici». Ma quello dei demo-grillini è un vero e proprio assalto. Nessuna della campagne lanciate dei «mobilitanti» viene risparmiata. Si parla di sciopero dei blog e decreto intercettazioni e Vanni scrive: «No alla censura sempre! Censurare Beppe Grillo però va bene? Altro che sciopero dei blog...Adesso vediamo veramente quanto democratico è questo partito democratico». Si parla della quattordicesima si pensionati ed ecco Mauro Lodi: «Accettate la candidatura di Grillo, che dice cose di sinistra...e stracciate la tessera di Veltroni che ammira quel ladro-tangentista-latitante di Craxi...che schifo!!!»


E non va meglio nella sezione dedicata al tesseramento. «Ragazzi - scrive Luca - il numero di commenti a favore della candidatura di Grillo dovrebbe farvi riflettere sulle conseguenze di un suo rifiuto. Si può, senza esagerare, considerare ciascun commento come un elettore in meno per il Pd in caso di rifiuto. Io, come credo tantissimi altri sostenitori "deboli", abbandoneremmo subito il Pd se Grillo dovessere essere ostacolato in qualche modo. Non dimenticate mai che il partito siamo noi». E anche quando si chiede di spiegare in 5 righe perché «voterati Pd», la risposta è una sola: «Perché accetterà la candidatura di Beppe Grillo alle primarie!!!»


dal quotidiano"Il Tempo" del 19/07/2009

L'AQUILA, CIALENTE CONTRO IL GOVERNO

L'Aquila, Cialente contro il governo:

"Non possiamo restituire le tasse"
Il sindaco Cialente ha invitato tutti gli aquilani a mobilitarsi


Il primo cittadino minaccia di consegnare la fascia a Napolitano: «Siamo fermi al 7-8 aprile, come facciamo a recuperare quelle cifre?»
L'AQUILA
«Se devo essere lasciato in queste condizioni, dismetterò la fascia tricolore di sindaco e la restituirò al capo dello Stato, Giorgio Napolitano». Il primo cittadino dell’Aquila, Massimo Cialente, anche stamane, in conferenza stampa congiunta con il parlamentare del Pd Giovanni Lolli, ha tuonato contro il governo. «Qualcuno si è permesso anche di prendermi in giro - ha aggiunto -. ma io continuo a ribadire che ci sentiamo abbandonati, che siamo abbandonati. Dopo la meravigliosa solidarietà del sistema Italia, ora il Paese, ed il Parlamento che lo rappresenta, ci dice che siamo tornati alla normalità e che dobbiamo restituire le tasse. Nulla di più falso: qui siamo ancora fermi al 7-8 aprile mattina».

L’incontro a Strinella 88 era stato convocato proprio per affrontare l’argomento delle tasse, sospese fino a dicembre per il terremoto del 6 aprile, e delle modalità di restituzione. «Non possiamo farcela a pagare queste tasse a gennaio - ha più volte ripetuto Cialente -. Qui ci sono commercianti, artigiani, piccole imprese che non hanno un posto materiale dove lavorare. Figuriamoci se possono restituire un miliardo di euro in due anni. Non possiamo assolutamente farcela - ha ribadito ancora -. E' come prendere il sangue ad una persona anemica. Forse non hanno capito che le uniche attività aperte in città sono i chioschetti che vendono arrosticini la sera».

E poi: «Come si può pretendere dall’Europa la zona franca, se lo stato italiano, per primo, mette le mani nelle nostre tasche quando siamo ancora piegati? ». Il sindaco ha anche sottolineato come «il G8 non ci abbia minimamente coinvolto, eppure abbiamo dimostrato una compostezza unica». «Ora basta! - ha esortato - Invito tutti gli aquilani a mobilitarsi, altrimenti la città sarà destinata a morire».

dal quotidiano "la Stampa" del 19/07/2009

sabato 18 luglio 2009

INTERVISTA A KLAUSCONDICIO

17 Luglio 2009

Intervista a KlausCondicio

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Riporto i video di una mia intervista rilasciata a KlausCondicio in cui ho toccato diversi argomenti.

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TREMONTI: IL SERVO DELLE BANCHE

17 Luglio 2009

Tremonti: il servo delle banche




Ieri mi è successa una cosa per un certo verso interessante ed inatteso. Si discuteva il decreto anticrisi e di banche, dove ci sono stati dei tentativi di regolare i tassi d'interesse, le commissioni e quant'altro. Ho avuto un'idea, che si è trasformata in emendamento: ogni banca, per ogni operazione che fa ai clienti, deve dare il Siaeg, ossia il saggio di interesse annuo effettivo.

In sostanza, il cittadino si presenta alla banca e chiede a quanto ammonta il tasso d'interesse per avere un prestito, e la banca risponde “il 2%”. Oggi, invece, la banca dice che applica un tasso d'interesse del 6% e poi, tra commissioni e spese che ci sono dietro, il tasso raddoppia. Con questo indicatore, invece, so quanto mi costa globalmente l'operazione con la banca. E' una cosa innovativa e rivoluzionaria, perché il cittadino o il piccolo imprenditore sa immediatamente quanto gli costa all'anno, in percentuali, una certa operazione.

Supponiamo che oggi un piccolo imprenditore va in banca e chiedere un prestito su un conto corrente e domanda quanto gli costa. La banca, supponiamo, risponde “il 6%”, ma poi per contratto c'è il massimo scoperto, le commissioni e quant'altro, alla fine il cliente non si rende neanche conto quanto paga. Con questo meccanismo e con questo indicatore la banca dovrebbe dire subitoil 12%”.

Il principio vale anche per il cittadino, che vuole aprire un conto corrente e gli offrono il 2% del depositato e si ritrova a fine dell'anno senza aver ricevuto nulla. Con questo meccanismo la banca dovrebbe dire subito “il -2%”, perché tra commissioni e quant'altro, in realtà, non si riceve niente e si devono pagare le spese.

Questo meccanismo creerebbe una reale competizione tra le banche, perché a questo punto basta che entri in una banca e chiedo il Siaeg dell'operazione che mi serve e poi vado da un'altra banca il confronto è immediato.

La proposta è piaciuta cosi tanto anche ai rappresentanti del governo che hanno dato il loro parere favorevole a votare. Naturalmente la cosa si è saputa, e quanto si discute di questi temi c'è sempre un insieme di lobby che circolano nei corridoi del palazzo. Quando è stato il momento di votare, due ore dopo, il governo ha chiesto di poter fare un approfondimento, e li ho capito che erano iniziate le grandi manovre.

Da quello che mi è stato detto, durante la notte si sarebbe scatenato l'inferno delle banche e Tremonti in persona avrebbe dato ordine di porre il parere negativo alla mozione. Quello stesso Tremonti che predica contro le banche, ma si rivela sempre il loro servo, perché quando è il momento di fare un operazione realmente significativa fa quello che le banche dicono di fare.


venerdì 17 luglio 2009

TRE VICENDE STOMACHEVOLI


Partito democratico

Tre vicende stomachevoli

di Paolo Flores d’Arcais

I quotidiani di stamani riportano tre episodi stomachevoli: il “no” di un preteso “comitato di garanti” del Pd all’iscrizione di Beppe Grillo, la rimozione dal suo incarico del vaticanista del Tg3 per un servizio “irrispettoso” verso Sua Santità, il panegirico di Bettino Craxi pronunciato da Walter Veltroni.
Naturalmente, ieri sono successe nel mondo cose ben più importanti e drammatiche. Le tre vomitevoli che ho riportato hanno però la caratteristica comune di riguardare il Partito “democratico”. Che con questi tre episodi dimostra una berlusconizzazione da stivali delle sette leghe.

“Grillo non può iscriversi perché si ispira e si riconosce in un movimento ostile al Pd” hanno deciso all’unanimità i garanti (presieduti da Luigi Berlinguer). Peccato che lo Statuto del partito non faccia menzione dell’ “ispirarsi e riconoscersi” come motivi ostativi per l’iscrizione. Gli unici due motivi, articolo 2, comma 8, riguardano “ le persone che siano iscritte ad altri partiti politici o aderiscano a gruppi di altri partiti politici all’interno di organi istituzionali elettivi”. Grillo non è iscritto ad alcun partito, e quanto a gruppi “all’interno di organi istituzionali elettivi” non fa parte di alcuna assemblea elettiva, dunque nemmeno a gruppi all’interno delle stesse. Un “comitato di garanti” che si inventa norme ad personam assomiglia sempre più al “consiglio dei guardiani” di conio komeinista e garantisce solo che le primarie saranno una truffa.

Il direttore del Tg3, Antonio Di Bella, ha rimosso dal suo incarico il vaticanista del telegiornale, Roberto Balducci, per un servizio considerato “irrispettoso”. Chiunque lo può ascoltare, sono pochi minuti. E’ evidente che Balducci non voleva esprimere una critica pesante al Papa, anzi nelle sue intenzioni (lo si vede dal “linguaggio del corpo” e dalla mimica facciale) forse pensava che la sua battuta sdrammatizzante potesse essere una “carineria”. Ma il punto non è questo. Se anche avesse espresso una critica, magari pesante, perché non ne avrebbe avuto il diritto? Nel servizio pubblico non ci sono mai critiche pesanti verso questo o quel politico? E perché Joseph Ratzinger dovrebbe essere immune dal diritto dei giornalisti alla critica? Siamo uno stato confessionale o uno stato laico e democratico? E se la Rai è un servizio pubblico, di questo pubblico non fanno parte anche i cittadini (forse decine di milioni) che al Papa rivolgerebbero critiche ben più pesanti? Si dirà che tutto questo ha a che fare con la pulsione di Di Bella a continuare la sua carriera in Rai, e che il Pd non c’entra. Ma lo sanno anche i sassi che su Rai tre e Tg3 si stanno scannando da settimane proprio i vertici Pd, per i quali, nella più pura logica di lottizzazione (l’inciucio ante litteram) quelle risorse pubbliche sono “cosa loro”.

Infine Walter Veltroni. Il suo peana a Craxi chiude il cerchio. Se si prende sul serio la legalità repubblicana, Craxi, quali siano stati i suoi meriti precedenti (compresa Sigonella, che Veltroni mitizza al limite dell’eroismo) è stato un criminale, morto latitante per sfuggire alla giustizia. Che Veltroni ne faccia un eroe dimostra solo uno spirito di casta fra gerarchi di una nomenklatura che si pretende legibus soluta. E infine, (visto che non può aver maturato questo giudizio su Craxi l’altra notte): perché non ha avuto il “coraggio” di intitolargli una via, quando era sindaco? Perché il “popolo di sinistra” sarebbe insorto, e la sua carriera sarebbe finita lì. Ma questo non aggiunge un elemento di viltà?

dal giornale MICROMEGA

FONDI: PERCHE' QUESTA ESITAZIONE?

16 Luglio 2009

Fondi: perchè questa esitazione?




Diciassette arresti dentro e fuori il comune di Fondi, tra politici e mafiosi, mentre il governo tace sullo stato delle cose.
Il silenzio è mafioso.
Abbiamo protestato il 5 di giugno a Fondi per rendere nota agli italiani, nome e cognome, l'identità celata da un numero impressionante di arresti: diciassette. Ma un numero rimane pur sempre un numero, mentre il nome e cognome rappresentano un volto che, se denunciato, viene allo scoperto.
Il governo tace. E' dal mese di febbraio 2008 che il ministro Maroni si ripropone, in attesa del nulla osta del Consiglio dei Ministri, di procedere allo scioglimento della giunta, ma ancora nessun segnale: perche?
Chi non vuole scioglierlo? Chi c'è nella giunta? Ve lo dico io: c'è una maggioranza di centro destra formata da esponenti del Pdl e dell'Udc di Cuffaro, quel partito "centrista" a cui il Pd strizza l'occhio.
Noi non abbasseremo la guardia su Fondi finchè non sarà "dispersa" l'attuale formazine politica. Manifesteremo per non lasciare soli i cittadini ed il prefetto Frattasi che ha denunciato il fatto appellandosi a Italia dei Valori di cui, evidentemente, sapeva di potersi fidare.
Non li deluderemo, nè l'uno nè gli altri: saremo ad ogni Consiglio dei Ministri per tenere alta l'attenzione finchè l'obiettivo non sarà raggiunto.


LA DIFFERENZA TRA PRATICARE E PREDICARE

16 Luglio 2009

La differenza tra praticare e predicare

Pubblico il resoconto stenografico del mio intervento di questa mattina alla Camera, a breve anche il video. Questo governo ha ridisegnato un'Italia che la comunità internazionale non vuole e depreca: l'italietta del più furbo.

Al G8 hanno detto che bisogna compiere un'azione congiunta contro i paradisi fiscali e contro le società off shore; al G8 hanno detto: non peccare, settimo non rubare.
Conseguentemente a ciò e ancor prima di ciò, gli Stati Uniti, Paese che nel G8 ha dato un'indicazione e un imprimatur su quella che dovrebbe essere l'azione degli otto Paesi più industrializzati, ha detto che, in primo luogo, i falsi in bilancio vanno condannati e che dopo tre volte, se qualcuno commette reati in materia societaria, non può essere condannato a meno di 20 anni di carcere.
In Italia è stata fatta la depenalizzazione!

Praticare e predicare.

Al G8 è stato detto quello che è stato detto in ordine ai paradisi fiscali e alle società off shore, che riconosco essere il problema principale della grande evasione internazionale.
Ma gli Stati Uniti nei giorni scorsi hanno chiesto 71.000 conti correnti all'UBS della Banca lugana della Svizzera, perché vogliono sapere chi sono i titolari delle migliaia di conti correnti all'estero che i cittadini statunitensi hanno in Svizzera. Lo vogliono sapere, perché vogliono controllare perché li hanno messi in Svizzera.
In Italia, abbiamo detto: basta che ce li riportiate, dando l'1 per cento all'anno per cinque anni, ci date la tangentina di Stato e noi vi diciamo che non ci serve sapere e non ci interessa dove li avete nascosti, perché li avete nascosti e perché li avete portati in Svizzera!

Questa è la differenza tra praticare e predicare! Ecco perché noi contrastiamo l'azione di questo Governo, che quanto a lotta all'evasione fiscale sa fare solo condoni


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giovedì 16 luglio 2009

Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009


Pubblichiamo la sintesi del rapporto SVIMEZ 2009. Seguirà nei prossimi giorni un commento sui dati pubblicati.

LE DINAMICHE ECONOMICHE GENERALI E SETTORIALI
LE POLITICHE INDUSTRIALI
LE POLITICHE DI COESIONE E L’EUROPA
LE POLITICHE DI FINANZA PUBBLICA
LE POLITICHE INFRASTRUTTURALI
LE POLITICHE CREDITIZIE
LE POLITICHE PER LA P.A.
LE POLITICHE PER IL SUD
POPOLAZIONE, SCUOLA E MERCATO DEL LAVORO, MIGRAZIONI
POLITICHE PER LO STATO SOCIALE
POLITICHE CONTRO LA CRIMINALITA’
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
4
LE POLITICHE ECONOMICHE GENERALI E SETTORIALI
2008 anno di crisi - Il 2008 è stato un anno di crisi per l’economia mondiale e la
recessione in corso nelle principali economie del mondo continua ad essere la più
profonda dal dopoguerra. La crisi è stata più marcata nei paesi dove maggiore è la quota
della produzione manifatturiera, come Giappone ed Europa.
Nel 2008 le economie Ue hanno registrato una crescita del Pil dello 0,8%, rispetto al
+2,7% del 2007. La crisi è diventata recessione solo per pochi paesi, tra cui l’Italia (-
1%), il Lussemburgo ( -0,9%) e l’Irlanda (-2,3%).
La crisi si è fatta sentire sulla domanda estera prima e interna poi, con una caduta negli
acquisti di beni capitali e una flessione negli investimenti. E nel Mezzogiorno?
Pil e Mezzogiorno - In base a valutazioni SVIMEZ nel 2008 il Pil ha segnato nel
Mezzogiorno -1,1%. Ormai da sette anni consecutivi il Sud cresce meno del Centro-
Nord, cosa che non è mai successa dal dopoguerra a oggi. Il divario in termini di
prodotto per abitante è invece lievemente diminuito, a causa dei flussi migratori
nazionali ed esteri in direzione del Nord, arrivando 58,6% di quello del Centro Nord. A
livello regionale la Campania mostra una diminuzione del Pil particolarmente elevata (-
2,8%), mentre le altre regioni meridionali presentano perdite più contenute. Meno
colpita dalla crisi la Puglia (-0,2%).
Pil per abitante e divari storici - Una misura efficace del divario Nord-Sud la dà il Pil
per abitante: nel 2008 nel Mezzogiorno è stato 17.971 euro, circa il 59% del Centro-
Nord (30.681 euro), con una riduzione però del divario di oltre 2 punti percentuali dal
2000, dovuta solo alla riduzione relativa della popolazione.
Un altro indicatore storico rende l’idea della situazione stagnante: nel 1951 nel
Mezzogiorno veniva prodotto il 23,9% del Pil nazionale. Sessant’anni dopo, nel
2008, la quota è rimasta sostanzialmente immutata (23,8%). Dal 1951 al 2008 il Sud
è cresciuto circa agli stessi ritmi del Centro-Nord, ma non è riuscito e non riesce a
recuperare il gap di sviluppo.
Nella ricostruzione della SVIMEZ l’intervento pubblico straordinario, cioè ad hoc per il
Sud, è stato in media pari allo 0,7% del Pil negli anni cinquanta e sessanta, e allo 0,9%
negli anni settanta. Successivamente è sceso allo 0,65% negli anni 1981-1986,
riportandosi poi fino al 1993 allo 0,75% e poi allo 0,8% negli anni recenti.
Tra i fattori responsabili del mancato sviluppo l’andamento della produttività, troppo
ridotto, anche perché legato, oltre che al capitale, a elementi di contesto fortemente
deficitari nel Sud , come il capitale umano, la R&S, le infrastrutture e il capitale sociale.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
5
Oltre al gap Nord-Sud Italia, cresce anche la distanza tra il Sud e l’Europa, soprattutto
per effetto della scarsa competitività (fig 13). Il Sud infatti è cresciuto molto meno delle
altre regioni Obiettivo 1 in Europa.
L’economia per settori
Agricoltura - Nel 2008 l’agricoltura meridionale ha tenuto molto più degli altri settori e
ha invertito il trend negativo iniziato nel 2005. In particolare, molto positiva è stata la
performance della Basilicata, con una crescita del Pil nel 2008 rispetto al 2007 di ben il
24%. Bene anche Abruzzo, Molise e Puglia, più contenuta la Sicilia (2,9%), segno meno
in Campania (-1,8%) e Calabria (-0,8%).
Aziende agricole - Nonostante gli sforzi e i progressi degli ultimi anni le criticità
strutturali di fondo restano: la dimensione media delle aziende nel Mezzogiorno è di 6
ettari, contro i quasi 10 del Centro-Nord. Nel Sud l’occupazione agricola è soprattutto
dipendente e tende ad aumentare, a differenza del Centro-Nord. Dal 2001 al 2008 la
crescita della produttività agricola meridionale è stata la metà di quella del Centro-Nord
(+8,9% contro +17%). A pesare ulteriormente sulla poca competitività è il costo del
lavoro per unità di prodotto, che nel Sud è superiore del 38% a quello del Centro-
Nord
Export - Crescono però le esportazioni: nel 2008 +9,7% al Sud, più del triplo del
Centro-Nord, con un vero e proprio boom verso i mercati extra Ue (+36%). Le regioni
più forti Molise (+105%) e Basilicata (+98%), mentre scendono fortemente Calabria (-
18%) e Sardegna (-60%).
Industria - La crisi in atto ha colpito a livello nazionale e non solo soprattutto il
comparto industriale. Cali della domanda interna ed estera hanno pesato in modo
determinante, soprattutto per quanto riguarda i beni durevoli e gli investimenti fissi
lordi.
La recessione si è fatta sentire in modo particolare al Sud, con un calo del Pil
industriale nel 2008 del 3,8%, mentre le produzioni manifatturiere hanno segnato
un calo di oltre il 6%. A tirare giù l’industria meridionale soprattutto macchine e
mezzi di trasporto (-10,5%), settore dei metalli e chimico-farmaceutico (-7,1%). In
controtendenza invece il settore energetico, che ha segnato un rialzo dell’8,7% a causa
soprattutto del calo del prezzo delle materie prime. Più vario il panorama delle
esportazioni: a fronte di un calo di quasi il 6% per l’automotive, il chimico-farmaceutico
ha segnato un incremento superiore al 15%.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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Occupazione industriale - Sull’industria meridionale pesa soprattutto la scarsa
produttività (il divario con il centro-Nord è di oltre 22 punti percentuali) e le ridotte
dimensioni delle imprese.
Immediato il contraccolpo sull’occupazione: 23mila lavoratori del comparto auto
hanno perso il lavoro al Sud nel 2008. Dal 2004 al 2008 il settore manifatturiero ha
espulso quasi 33mila lavoratori.
Giù anche gli investimenti: -2,1% annuo dal 2001 al 2008, tre volte tanto rispetto al
Centro-Nord (-0,6%), anche a seguito della riduzione o abolizione di alcune
agevolazioni (credito d’imposta, legge 488).
Imprese cooperative - Un caso a parte è costituito dalle imprese cooperative, che nel
Sud dal 1971 al 2001 sono aumentate di oltre otto volte, con un vero e proprio boom
in Campania (+1.432%) e Sicilia (+1.297%). Una curiosità: nonostante nel Sud nel
periodo in questione il numero medio di addetti si sia dimezzato (erano in media 21 nel
1971, 9 nel 2001), il 20% delle imprese totali è classificato come media (classe 10-49
addetti) e ben 58 su 450 hanno più di 250 addetti. A parte il Molise, dove ben l’80%
delle imprese con più di 250 addetti sono cooperative, le imprese di grandi
dimensioni sono superiori al 20% anche in Basilicata e Calabria: dati che
fotografano un fenomeno in controtendenza rispetto al sistema economico nazionale (il
96% delle imprese al Sud ha meno di 9 addetti, il 94% al Centro-Nord). Contrariamente
a quanto si pensa, le imprese cooperative sono diffuse più nel Sud che nel resto del paese
(53.130 su un totale di 111.800), concentrate nel settore agroalimentare, nelle
costruzioni e nell’edilizia abitativa, con una prevalenza del settore terziario (soprattutto
servizi alle persone, istruzione, sanità). Nel Mezzogiorno sono più diffuse le cooperative
agricole, nel Centro-Nord quelle attive nei servizi alle imprese e alla persona).
Edilizia - La crisi non ha risparmiato il settore edile: dopo la forte crescita degli ultimi
otto anni (quasi +16%), nel 2008 il Sud ha segnato un calo degli investimenti del 2%
rispetto all’anno precedente. Dal 2003 al 2007 inoltre i bandi di gara per opere
pubbliche sono scesi del 27% a livello nazionale, con punte particolarmente negative in
Basilicata (-43,5%), Calabria (-31%) e Puglia (-30%).
Sul fronte occupazione il Mezzogiorno ha registrato una flessione dell’1,2%, pari a
7mila lavoratori in meno, il doppio del Centro-Nord, di cui quasi 5mila lavoratori
autonomi.
La vera piaga del settore edile è data però soprattutto dal sommerso: secondo stime
SVIMEZ i lavoratori in nero occupati nel settore sarebbero 180mila, di cui il 63%
(110mila) concentrati al Sud.
Servizi e terziario - Sempre per effetto della crisi, per la prima volta dal 2000 il Pil del
settore dei servizi è calato. Al Sud, dopo quattro anni di forte crescita, nel 2008 il Pil
è sceso dello 0,3%, con un calo quasi del 3% nel comparto commercio.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
7
La crescita degli occupati nel settore è stata molto contenuta e al Sud ha segnato + 0,2%,
pari a 10mila nuovi posti di lavoro. Più in particolare si segnala il calo dell’1,4% degli
occupati nel settore del commercio a fronte della creazione di nuovi posti di lavoro
nel comparto assicurativo, immobiliare e finanziario (+1,4%).
Turismo - Nel 2007 nel Mezzogiorno gli arrivi e le presenze di turisti stranieri sono
aumentati del 6 e del 5% rispetto all’anno precedente, a fronte del 4% e del 2,1% del
Centro-Nord. Sono state Sardegna e Puglia a trainare la crescita, con un salto in avanti
rispettivamente del 12,5% e dell’11,2%, più contenuti i dati campani (+3,3%) e siculi
(+0,2%), in flessione Abruzzo (-1%) e Molise (-12,2%).
Nonostante questo, il Mezzogiorno non riesce ad esercitare sui turisti italiani e stranieri
una forte capacità attrattiva, a causa di critiche difficoltà strutturali.
Il turismo al Sud è soprattutto domestico, di prossimità: circa il 60% dei vacanzieri
infatti proviene dalle diverse regioni meridionali, più il Lazio.
Nonostante le condizioni climatiche consentano di estendere la stagione a dodici mesi
l’anno, di fatto oltre il 70% delle presenze si concentra nel periodo giugnosettembre.
Ad esempio nel febbraio 2007 gli stranieri che hanno scelto di trascorrere un
periodo di ferie nel Mezzogiorno sono stati l’1,4% sul totale annuo, contro il 4,5% del
Centro-Nord; nello stesso periodo i turisti italiani al Sud sono stati meno della metà
rispetto al dato del Centro-Nord (2,1% contro 4,5%).
Nonostante la ricchezza del patrimonio ambientale e artistico, il Sud viene inoltre
percepito essenzialmente come una località balneare, mentre il turismo d’affari e
congressuale, spesso sviluppato nei mesi invernali, è praticamente assente.
Punti critici nell’attrazione dei turisti sono dati dalla scarsità di servizi e trasporti:
pochi aeroporti poco collegati con voli low cost e città europee; trasporti pubblici
carenti; rete ferroviaria a binario unico e sistema autostradale sottodotato.
Città e aree urbane – Mentre al Centro-Nord le grandi città attraggono importanti
attività terziarie, al Sud non riescono a trainare uno sviluppo diffuso e limitrofo, ma sono
espressione di un radicato disagio sociale, inadeguate a fornire efficienti livelli di
servizio ai cittadini per le funzioni essenziali come acqua, rifiuti, assistenza sociosanitaria.
Lo dimostra anche il fatto che nel 2008 la popolazione delle aree urbane del Centro-
Nord è cresciuta in valori compresi tra il +3 e il +6% a seconda delle ripartizioni, mentre
le città al Sud hanno perso 13mila unità (-0,3%). Se Milano ha visto aumentare la
popolazione del 2 per mille e Torino addirittura del 12, Napoli ha perso 4 residenti su
mille.
Nel complesso la situazione resta difficile: grandi aree urbane sull’orlo della crisi,
Napoli, Palermo e Catania, aree urbane intermedie poco collegate tra loro non sempre in
grado di fornire servizi adeguati agli abitanti, come Paola.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
8
Paradossalmente, il Sud è più legato con il Nord che con se stesso, come dimostrano i
dati sulle migrazioni e sul pendolarismo Sud-Nord.
Non mancano esperienze positive, come Salerno, Pescara, Bari e le realtà intermedie di
Sassari e Cagliari.
Cosa dice la SVIMEZ – A differenza del passato, nel Sud oggi la crisi rischia di
mordere maggiormente con effetti fortemente negativi sui consumi, investimenti e
occupazione. L’economia meridionale risente particolarmente del fatto di essere stata
colta dalla crisi in una fase di particolare fragilità, mentre si stavano avviando processi
di aggiustamento sia dal lato delle imprese che del bilancio pubblico.
Questo perché l’economia meridionale somma all’inversione ciclica debolezze
strutturali che affondano le loro radici nel tempo. La leggera convergenza con il
Centro-Nord viene raggiunta per via patologica, non con maggiore crescita, ma con
perdita di popolazione. Tale dinamica è in controtendenza con quanto avviene nelle
aree deboli nel resto dell’Europa.
Le analisi del Rapporto mostrano come le imprese meridionali sembrino essere state
maggiormente colpite dall’intensificarsi della concorrenza internazionale,
verosimilmente per motivi di composizione settoriale (nel Mezzogiorno pesano meno che
al Centro-Nord i settori che hanno “tenuto” meglio, quali ad esempio le industrie
meccaniche fornitrici di beni capitali), per una minore presenza nei mercati emergenti,
e per una dimensione media delle imprese inferiore a quella del Centro-Nord.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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LE POLITICHE INDUSTRIALI
Crisi economica e politiche di settore – L’inatteso deterioramento dei saldi di finanza
pubblica conseguente alla crisi economica e finanziaria ha spinto il Governo a dirottare
altrove parte delle risorse disponibili in precedenza che erano state programmate per la
politica industriale. Ciò, peraltro, è avvenuto mentre prosegue la flessione delle
agevolazioni nel Sud. Il sostegno del Governo è stato indirizzato soprattutto verso il
settore del credito, potenziando il Fondo di Garanzia per le piccole imprese e i Confidi,
aiutando la ricapitalizzazione delle banche attraverso i Tremonti bond, immettendo
liquidità a basso costo grazie a parte dei fondi della Cassa Depositi e Prestiti, ampliando
le forme di garanzia e le modalità di intervento della Sace.
Le norme agevolative varate –La definitiva archiviazione della legge 488 sugli
incentivi alle imprese ha cambiato radicalmente il ventaglio agevolativo. Si è puntato,
invece, soprattutto su due programmi di incentivazione: i Progetti di Innovazione
Industriale e il Credito d’Imposta per ricerca e sviluppo. Ai primi il Governo
precedente aveva destinato quasi un miliardo nel triennio 2007 – 2009. A inizio 2008 era
stato già avviato l’iter per il finanziamento dei primi cinque Progetti di Innovazione. Ma
per entrambi il Mezzogiorno è riuscito a catturare quote di risorse del 4,9% e dell’8,1%,
decisamente trascurabili.
Progetti di Innovazione Industriale – Per il progetto “Mobilità sostenibile” sono state
presentate 50 domande, che hanno coinvolto 420 imprese e 225 organismi di ricerca. Di
cui solo il 12% sono localizzate nel Mezzogiorno. I progetti ammessi sono stati la metà,
che riguardano 250 imprese e 100 organismi di ricerca. Il totale dei contributi sfiora i
180 milioni.
Per il progetto “Efficienza energetica” sono state presentate 86 richieste, che
coinvolgono circa 500 imprese, di cui poco più del 20% ubicate nelle aree meridionali.
Ammessi al finanziamento 30 progetti che riguardano 234 imprese e 160 enti di ricerca.
Il totale dei contributi è di 200 milioni.
Per il progetto “Nuove tecnologie per il Made in Italy” il bando stanzia 190 milioni:
sono stati presentati 429 progetti che hanno coinvolto più di 3mila imprese e mille centri
di ricerca. Non c’è ancora la graduatoria degli ammessi.
Per gli ultimi due progetti “Tecnologie innovative per i beni culturali” e “Nuove
tecnologie della vita”, siamo ancora alle battute iniziali.
Crediti d’Imposta per ricerca e sviluppo – La misura è rimasta inattuata per l’intero
2007, in attesa dell’autorizzazione della Commissione Europea. Nel corso del 2008
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
10
sono state concesse agevolazioni per oltre 700 milioni, di cui più del 94% a imprese
del Centro Nord. Successivamente, con l’aggravarsi della crisi economica, il Credito
d’imposta è stato esteso ai settori del tessile e della moda.
Sud e politica industriale – In Italia nel 2007 c’è stato un crollo rispetto all’anno
precedente sia del numero di domande per agevolazioni, che ha sfiorato il 76%, sia degli
importi, diminuiti da 6 miliardi e mezzo a 1 miliardo e mezzo. Le cause sono molteplici,
ma soprattutto la non operatività di numerosi strumenti di incentivazione, le difficoltà
connesse al nuovo ciclo di programmazione dei fondi comunitari, i ritardi nell’avvio dei
nuovi interventi. A livello territoriale c’è stata una forte differenziazione tra Centro
Nord, dove le agevolazioni si sono ridotte del 27% rispetto all’anno prima, e
Mezzogiorno, dove il calo è stato dell’86,5%. Il motivo è stato il sostanziale
azzeramento degli interventi per ridurre gli squilibri territoriali. In definitiva nelle aree
meridionali il 90% delle agevolazioni nel corso del 2007 si è concentrato nella ricerca e
sviluppo e nella nuova imprenditorialità.
Nuovo pacchetto di agevolazioni al Mezzogiorno
Crediti d’imposta per investimenti - Sono destinati esclusivamente al Mezzogiorno.
Sono diventati operativi nel 2008. Gli stanziamenti complessivi per il periodo 2008 –
2015 sono 4 miliardi e 477 milioni. Sono state presentate 35.490 domande, quelle
agevolate sono 23.687, per 11 miliardi e 481 milioni di investimenti. Le agevolazioni
concesse pari a 4 miliardi e 475 milioni hanno esaurito, già a settembre 2008, l’intero
stanziamento fino al 2015. Non sono stati rifinanziati.
Crediti d’imposta per nuova occupazione – Si tratta di un bonus fiscale per i datori di
lavoro che nel corso del 2008 hanno assunto dipendenti a tempo indeterminato nel
Mezzogiorno. L’anno scorso i crediti fruiti sono stati pari a 84,8 milioni, di cui solo 20
milioni nell’industria. Le Regioni dove sono stati maggiormente utilizzati sono Sicilia,
Campania e Puglia. Sarebbe stato auspicabile prolungare la durata dell’intervento,
limitato al solo 2008. Grazie a questa misura è stimato un aumento di posti di lavoro
tra 40mila e 50mila.
Zone Franche Urbane – Sono state introdotte con la Finanziaria 2007 per il solo
Mezzogiorno, poi, in seguito ai rilievi mossi da Bruxelles, sono state estese anche al
Centro Nord con la Finanziaria 2008. Hanno una dotazione di risorse molto limitata,
appena 50 milioni per gli anni 2008 e 2009. A seguito di un’istruttoria durante la quale
sono giunte 64 proposte, il Cipe ne ha scelte 22, di cui 18 al Sud. Ma non riescono
ancora a decollare finché non giunge la definitiva approvazione da parte della
Comunità Europea e non vengono approvati i decreti di attuazione.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
11
Contratti di Programma – Sono stati modificati rispetto al passato, puntando su
progetti di più ampio respiro e sulla promozione di investimenti non esclusivamente
produttivi, ma anche infrastrutturali, di formazione e di ricerca. Si tratta ora di uno
strumento non più limitato alle aree sotto utilizzate ma esteso in tutt’Italia. Con i
Contratti di Programma possono essere attivati più regimi di aiuto, nazionali e a finalità
regionale. Il Cipe ha affidato a Invitalia la gestione di questo strumento agevolativo.
L’anno scorso sono state presentate 36 proposte di Contratti di Programma: 24 per il
settore manifatturiero e 12 per il comparto agro industriale, che prevedono investimenti
complessivi per circa 5,2 miliardi, di cui 3,2 nelle aree meridionali. A fine 2008 nessuna
di questa proposte aveva ultimato l’iter procedurale.
Contratti di Localizzazione – Hanno il compito di attrarre gli investimenti esteri.
Riguardano solo le Regioni meridionali. Sono gestiti da Invitalia, che svolge attività di
promozione, stipula e realizzazione di detti contratti. Finora ne sono stati stipulati 10,
per circa 480 milioni di investimenti e 206 milioni di agevolazioni.
Contratti di sviluppo - Sono uno strumento agevolativo più snello destinato a sostituire
i Contratti di Programma e di Localizzazione. Non sono ancora decollati: dovrebbero
essere finanziati ricorrendo al Fondo strategico a sostegno dell’economia reale presso la
Presidenza del Consiglio, che ha una dotazione di 9 miliardi, ma non si sa quanto di
questo ammontare sarà destinato a tale strumento. Sarebbe auspicabile che in sede di
attuazione questo nuovo strumento fosse limitato solo al Sud.
Ricerca e innovazione – Il ritardo in questo settore è un problema che riguarda l’Italia
nel suo complesso, ma soprattutto il Mezzogiorno, dove gli investimenti in ricerca e
sviluppo dipendono molto più che altrove dalle politiche pubbliche. Basta guardare il
rapporto tra la spesa complessiva in ricerca e sviluppo e il Pil nel Centro Nord e al Sud:
nelle aree meridionali è circa il 30% meno rispetto al resto del Paese. Lo stesso vale
per il numero di addetti al settore: 4 ricercatori su mille abitanti al Centro Nord,
1,8 nel Mezzogiorno. Peraltro nelle aree meridionali negli anni 2000-2007 l’80% delle
agevolazioni per ricerca e sviluppo è concentrato in 2 interventi: il Fondo per le
Agevolazioni alla ricerca e il Pia Innovazione, che hanno indirizzato verso quest’area 2
miliardi ciascuno. Il Quadro Strategico Nazionale 2007 – 2013 attribuisce grande rilievo
alle politiche di sostegno a ricerca e innovazione, dichiarandole una delle 10 priorità di
intervento.
PMI - L’ultima “Indagine sulle imprese manifatturiere italiane” realizzata sui bilanci di
un campione di imprese di piccola e media dimensione (PMI) negli anni 2004-2006,
assolutamente prevalenti nel Sud, ha evidenziato l’importanza di strategie difensive
basate su un utilizzo più che flessibile del lavoro e/o dalla prossimità con l’economia
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
12
informale. Ciò è dovuto alla negativa produttività media (-1,0%) delle PMI meridionali,
a fronte di una’evoluzione positiva nel resto del paese (+4,1%).
L’internazionalizzazione – L’economia meridionale ha un minor grado di apertura ai
mercati internazionali e ciò limita sia l’efficienza che l’innovazione. Le esportazioni
meridionali hanno scontato un commercio internazionale in fase di forte rallentamento
ma ancora in crescita, perché le stime sono precedenti all’insorgere della crisi economica
– finanziaria nell’ultima parte del 2008: eppure già in questo contesto il peso del Sud sui
dati nazionali relativi all’internazionalizzazione commerciale e produttiva delle imprese
è inferiore alle sue dimensioni demografiche ed economiche. Il contributo del
Mezzogiorno all’export italiano è, infatti, del 12% per le merci e del 7% per i
servizi. La quota di produzione meridionale destinata all’estero è meno della metà della
media nazionale. Lo svantaggio dei servizi rispetto alle merci esiste nonostante il
potenziale turistico del Sud ed è la conseguenza dello scarso sviluppo di un terziario
avanzato. Il Mezzogiorno contribuisce solo per lo 0,5% all’export mondiale, al pari di
Paesi come il Portogallo e la Slovacchia, la cui popolazione è comunque inferiore a
quella meridionale.
Cosa esporta il Mezzogiorno – Il Sud esporta soprattutto derivati del petrolio: ciò
spiega la crescita dell’export meridionale del 3,2% nel secondo semestre del 2008
rispetto a una contrazione dello 0,6% del resto del Paese. L’export meridionale è
sempre più concentrato in settori come l’acciaio, la chimica, il petrolio, i mezzi di
trasporto. Che le esportazioni del Mezzogiorno siano condizionate soprattutto dalla
produzione petrolifera, lo dimostrano i dati regionali, con la Sicilia e la Sardegna che
sono le prime, mentre Campania e Puglia perdono terreno per quel che riguarda le merci.
Ma in particolare la Campania lo riguadagna con l’export dei servizi, puntando
sull’attrattività turistica che ha e sul fatto che le maggiori imprese del terziario si
collocano nelle grandi aree metropolitane, e quindi segnatamente a Napoli.
Gli investimenti esteri in Italia - Se il rapporto tra numero di addetti nelle imprese a
partecipazione straniera e numero di addetti nelle unità locali è, nella media nazionale,
attorno al 5,1%, nel Sud tale rapporto scende all’1,2% e solo in Sardegna tocca
l’1,7%. Ciò testimonia la modesta presenza delle multinazionali nel sistema economico
meridionale, dovuta a un contesto nel quale mancano politiche adeguate a creare le
condizioni istituzionali e infrastrutturali più adatte, senza le quali difficilmente si
riescono ad attrarre capitali esteri.
Gli investimenti italiani all’estero – Sono aumentate le partecipazioni all’estero di
imprese meridionali, con capitali provenienti da alcune Regioni del Sud: innanzitutto la
Basilicata che supera addirittura il dato nazionale, ma anche la Campania, la Puglia e
l’Abruzzo. Ma sono comunque decisamente al di sotto della media nazionale. Il primo
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
13
gennaio 2007 le aziende manifatturiere straniere partecipate da investitori meridionali
superavano di poco le 200. Gli investimenti meridionali si dirigono in particolare
verso l’Europa centro orientale, attratti dai più bassi costi di produzione.
Sistemi locali del lavoro – In base a una serie di indicatori la SVIMEZ ha analizzato i
325 distretti del Mezzogiorno dividendoli in sette tipologie diverse da cui emerge un Sud
fortemente differenziato al suo interno.
- aree delle opportunità consolidate: qui la popolazione è in crescita, gli abitanti hanno
un livello di studio elevato, il tasso di occupazione è in linea con la media nazionale o
addirittura superiore al Centro-Nord (come a Olbia e alla Maddalena, 52%), il tasso di
disoccupazione basso (7%), il livello di reddito (19.400 euro pro capite) è superiore alla
media del Mezzogiorno (14.500). Fanno parte di questo gruppo sette sistemi locali
dell’Abruzzo (tra cui Avezzano, Celano, Giulianova e Teramo) e alcune importanti
realtà turistiche della Sardegna (Arzachena, La Maddalena, Olbia, Santa Teresa Gallura
e San Teodoro) e di altre regioni (Capri e Lipari).
- aree urbane: qui viene prodotto il 60% del Pil meridionale, ma si spazia dalle zone con
un terziario molto forte e un’occupazione in forte crescita (Benevento, Avellino, Bari,
Monopoli, Putignano, Lecce, Alghero, Sassari, Macomer, Nuoro, Cagliari e Oristano) ad
altre concentrate nel manifatturiero, che arrancano, con una crescita senza occupazione
(Caserta, Nola, Taranto, Gioia Tauro, Porto Empedocle e Gela) ad altre in piena crisi. In
quest’ultimo caso i tassi di attività e occupazione sono più bassi, la disoccupazione più
alta (Foggia, Brindisi, Catanzaro, Reggio Calabria, Vibo Valentia, Trapani, Palermo,
Messina, Agrigento, Caltanissetta, Enna, Catania e Siracusa).
- aree delle opportunità distrettuali e industriali: Qui prevalgono attività manifatturiere
piccole e medie ma anche realtà industriali più forti non sostenute da un terziario
avanzato. Sono zone da cui si emigra, che sembrano offrire opportunità di lavoro non
qualificato, come denota il tasso di attività superiore alla media meridionale unito alla
diffusione di titoli di studio medio-bassi. Fanno parte di questo comparto i distretti di
Pineto, Penne, Solofra, Altamura e Calangianus, Atessa, Termoli, Grottaminarda, Melfi
e Pisticci.
- aree delle opportunità turistiche: sono zone di significative potenzialità turistiche che
non riescono però a sfociare in livelli di reddito e occupazione superiori alla media. Qui
troviamo ad esempio Sant’Agata dei Goti, Amalfi, Maiori, Telese Terme, Sapri, San
Giovanni Rotondo, Barletta e Gallipoli, Diamante, Praia a Mare, Scalea, Soverato,
Castelvetrano, Taormina, Capo d’Orlando, Acireale.
- aree dinamiche: sono le aree di eccellenza, in crescita, più ricche, con una forte
capacità attrattiva, a vocazione soprattutto turistica (Forio, Ischia, Sorrento, Ostuni,
Tropea, Cefalù, Castelsardo, Bosa, Orosei e Muravera).
- aree della crisi: poche aziende, scarsa offerta di lavoro e reddito modesto. Si
concentrano soprattutto in Puglia, Calabria e Sicilia.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
14
- aree marginali:la struttura produttiva è debolissima e il reddito medio pro capite il più
basso d’Italia (8.600 euro). Sono le aree più interne e periferiche, scarsamente abitate,
della Sicilia, Calabria, Campania, Sardegna.
Il Mediterraneo – L’impatto della crisi finanziaria si è avuto soprattutto sulle maggiori
economie mondiali, come dimostrano le minori perdite registrate dalle Borse di
numerosi Paesi terzi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, i quali stanno anche
registrando una contrazione del Pil inferiore rispetto a quella delle nazioni più
industrializzate. Oggi la parte principale dell’export meridionale è concentrata in
Turchia, Libia, Tunisia ed Egitto, sebbene l’export verso il Mediterraneo si attesti a poco
meno di 6 miliardi, pur crescendo considerevolmente, mentre quello del Centro Nord
verso la stessa area sfiora i 25 miliardi. Il Sud, approfittando della stabile crescita
economica di aree geograficamente prossime, può diventare l’interlocutore
privilegiato di numerosi Paesi nord africani e asiatici che si affacciano sul
Mediterraneo, sia attraverso il potenziamento della logistica sia attraverso
maggiori relazioni economiche.
Cosa dice la Svimez – In base ad analisi SVIMEZ, settori come la chimica, i mezzi di
trasporto, la gomma-plastica, che vantano i più elevati valori di propensione a
esportare, sono anche caratterizzati da una presenza molto rilevante di stabilimenti a
partecipazione estera. Per contro, in quasi tutti i settori tradizionali dei beni di consumo
per la persona e per la casa, entrambe le variabili tendono ad assumere valori
relativamente bassi.
Dunque la modesta presenza delle multinazionali nell’intero sistema economico del
Mezzogiorno appare fortemente penalizzante.
Va comunque segnalato che la crescita dei traffici di “perfezionamento attivo” nel Sud
(importazioni temporanee di merci e successive ri-esportazioni), può comunque
rappresentare una concreta possibilità di inserire il Mezzogiorno nelle filiere transnazionali
in cui si è ri-organizzata la produzione su scala mondiale. Visto che ormai
circa un terzo delle esportazioni meridionali che escono dall’Unione Europea vanno
verso i paesi mediterranei, il Mezzogiorno potrebbe trovare nella “prospettiva
mediterranea” non solo una condizione per lo sviluppo della produttività in termini di
piattaforma logistica ma anche di vera e propria integrazione economica.
Le perduranti difficoltà sperimentate nel corso degli anni duemila dalle piccole e medie
imprese del Mezzogiorno spingono a riproporre le ragioni di una “politica industriale
regionale” in grado di affrontare i fattori strutturali endogeni alla base di tali difficoltà.
Nel Mezzogiorno, gli investimenti in R&S continuano a dipendere molto più che nel
Centro-Nord dalle politiche pubbliche, che finora non hanno dato i risultati sperati.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
15
Il problema che bisogna affrontare è come far maturare il tessuto
imprenditoriale meridionale. Che ciò possa avvenire senz’altro con il miglioramento
delle condizioni del contesto civile è desiderabile, ma non dimostrato. Ancora una volta
vale ricordare che il circolo vizioso dello sviluppo va spezzato in più punti,
accantonando formule ideologiche che attribuiscono un primato assoluto ora a un
fattore ora all’altro. Non si comprende, inoltre, ad esempio, come l’inutilità degli
incentivi nel Sud da molti sostenuta a causa della loro bassa efficacia non valga per il
Centro-Nord, se è vero che nel 2008 è stata prevista l’estensione dei contratti di
programma in tutte le regioni del Paese.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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LE POLITICHE DI COESIONE E L’EUROPA
Fondi strutturali 2000-2006 – L’ultima relazione annuale sull’esecuzione dei Fondi
strutturali nei 25 Stati membri dell’UE, relativa al 2007, certifica che alla fine dell’anno
erano stati impegnati quasi 224 miliardi ed erogati poco meno di 190, pari al 100% e
all’84,6% delle risorse stanziate. Le migliori performance le hanno avute Irlanda e
Austria, che hanno rispettivamente raggiunto un livello di spesa pari al 91,5% e al
91,1%. Mentre la peggiore l’hanno avuta i Paesi Bassi, fermi al 66,2% del contributo.
L’Italia ha registrato un livello di spesa attorno all’80,6% del contributo assegnato, più
basso della media UE. Gli investimenti sono stati concentrati sulle infrastrutture di base,
per oltre il 41%, delle risorse disponibili, di cui più della metà per quelle di trasporto. La
regola del disimpegno automatico si stima abbia fatto perdere risorse per circa 140
milioni.
Lo stato di attuazione del ciclo 2000-2006 in Italia – Nel periodo di programmazione
2000 – 2006 al nostro Paese sono stati assegnati 28,8 miliardi di contributi comunitari a
prezzi 2004, che, con le risorse nazionali di cofinanziamento, si sono raddoppiati, per cui
il totale dei fondi disponibili ha raggiunto 63,3 miliardi, di cui 45,9 destinati alle Regioni
dell’Obiettivo 1. Il 31 dicembre 2008 avrebbe dovuto essere la data limite per
l’erogazione di detti finanziamenti, ma, in seguito alla grave crisi economica
internazionale, tale scadenza è stata prorogata al 30 giugno di quest’anno. I dati di
monitoraggio della Ragioneria dello Stato mettono in evidenza che a fine 2008 erano
state impegnate anche più risorse di quelle disponibili, per un “overbooking” di progetti.
Mentre la spesa effettiva nelle aree Obiettivo 1 era attestata in media al 93,6%. A fine
febbraio 2009 gli impegni sfioravano il 120%, pari a circa 55 miliardi a fronte di circa
46 programmati. Ma i pagamenti superavano di poco il 94%, attestandosi al 94,1%, che
in cifra fissa equivale a 43,2 miliardi. Nello specifico, le erogazioni dei contributi del
Fondo europeo di sviluppo regionale sono pari al 94,8%, con una significativa
concentrazione nell’Asse Reti e nodi di servizio, dove è stata completata la spesa per la
realizzazione dei progetti. Mentre per i Programmi Operativi nazionali (Pon) la media
degli impegni e dei pagamenti è pari rispettivamente al 117% e al 98,2%: dei Pon solo
quello Trasporti ha completato le erogazioni. Infine i Programmi Operativi Regionali
(Por): il livello medio della spesa è fermo al 92,3%, con alcune realtà, come la
Campania, dove è inchiodato all’86,8%.
L’utilizzo dei progetti sponda o coerenti – Nel ciclo 2000-2006 è stato fatto ampio
ricorso ai progetti sponda, quelli originariamente finanziati con fondi di diversa
provenienza ma utilizzati successivamente nell’ambito della programmazione
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
17
comunitaria proprio perché coerenti con essa, allo scopo di rispettare i tempi molto rigidi
imposti dai regolamenti di Bruxelles. Alla fine del 2008 il loro valore era pari al 44,5%
dell’intera dotazione finanziaria del QCS. Ciò pone seri interrogativi sull’effettiva
aggiuntività di una parte del ciclo di programmazione appena concluso.
I progetti finanziati con i Fondi strutturali 2000-2006 – A fine 2008 erano stati
finanziati oltre 269mila progetti per un valore di quasi 59 miliardi, il 73% dei quali
completati. Per oltre la metà si tratta di infrastrutture, il 20% delle quali riguarda reti di
trasporto. Di questa somma complessiva, un po’ meno del 30%, pari a 17 miliardi, è
stata destinata alle imprese.
Il nuovo ciclo di programmazione 2007 – 2013 – Le decisioni del Governo intervenute
nel 2008 hanno ridimensionato gli impegni finanziari della politica regionale, ma solo
per la parte che riguarda le risorse nazionali del Fas e non sulla fetta di risorse stanziate
dall’UE. Nel nuovo ciclo, accanto ai Pon e ai Por, compaiono anche i Programmi
Operativi Interregionali (POIn), finalizzati a 3 obiettivi: la Competitività, che riguarda le
Regioni sotto sviluppate del Centro Nord e tre regioni del Mezzogiorno (Abruzzo,
Molise e Sardegna), la Convergenza, che comprende le rimanenti regioni meridionali,
compresa la Basilicata in regime transitorio, la Cooperazione, sia trasfrontaliera che
transazionale e interregionale.
La novità più importante riguarda il raggiungimento, attraverso questi progetti,
degli Obiettivi di servizio, per loro natura trasversali: significa offrire migliori
servizi collettivi in termini di qualità della vita, convenienza a investire, pari
opportunità. Tali Obiettivi sono: maggior livello di istruzione, aumento dei servizi per
l’infanzia e di quelli socio sanitari per anziani e non auto sufficienti, migliorare
l’approvvigionamento dell’acqua e la gestione dei rifiuti urbani. Su queste basi ciascuna
Regione ha fissato target quantitativi da raggiungere entro il 2013, e il Cipe ha stanziato
3 miliardi del Fas come premialità a quelle che li conseguiranno.
Le risorse del nuovo QCS – Complessivamente tra risorse comunitarie, nazionali di
cofinanziamento e Fas la previsione nel luglio 2007 era di mobilitare circa 125 miliardi
entro il 2013. Ma i 64 miliardi inizialmente stanziati ricorrendo al Fas sono stati ridotti
(come spieghiamo nel precedente capitolo) per destinarne parte alle politiche anti crisi.
Mentre i poco meno di 29 miliardi a valori indicizzati assegnati all’Italia come risorse
della politica regionale comunitaria sono rimasti inalterati e di questi 21,6 vanno al Sud:
nelle Regioni Convergenza questi contributi saranno destinati per quasi il 60% a
investimenti nell’energia e nell’ambiente, per migliorare la competitività, le reti e i
collegamenti, la ricerca e innovazione. I Programmi che possono fare affidamento sulla
maggiore quantità di risorse sono i Por Campania e Sicilia, che assorbono
rispettivamente il 15,9% e il 15,1% del contributo.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
18
PON RICERCA – Il programma, finanziato con fondi Fesr, ha uno stanziamento di 6,2
miliardi, di cui 3,2 assegnati al Ministero della Ricerca e circa 3 a quello dello Sviluppo
Economico. Agisce attraverso due Assi: modificare il tessuto produttivo delle Regioni
meridionali e potenziare l’innovazione e lo sviluppo delle imprese. I target fissati sono:
aumentare la spesa privata in ricerca sul Pil allo 0,39%, la percentuale di progetti
all’Ufficio Brevetti al 43,2 per milione di abitante, gli addetti al settore dall’1,6 per
mille al 2,66 per mille abitanti.
Le modifiche in seguito alla crisi economica – Tra le iniziative intraprese dalla
Commissione europea per fronteggiare la crisi oltre allo slittamento al 30 giugno di
quest’anno del termine per ammettere le spese del vecchio ciclo di programmazione,
sono previste alcune altre che riguardano l’attuale QSN: immediata disponibilità a
livello comunitario di circa 19 miliardi dell’Fse nel biennio 2009 – 2010, anche in
mancanza di cofinanziamento nazionale, aiuti alle imprese che si ristrutturano,
promozione di forme di auto imprenditoria e auto impiego, destinazione di 2,65 miliardi
provenienti dal Fondo sociale di spettanza delle Regioni italiane agli ammortizzatori in
deroga per i lavoratori esclusi dall’ordinaria Cig.
Cosa dice la Svimez – La presa d’atto della scarsa efficacia della programmazione
2000-2006 ai fini dello sviluppo del Mezzogiorno sta chiaramente ad indicare la
necessità di una svolta sia per quanto riguarda le modalità di programmazione e la
focalizzazione della spesa, sia per quanto riguarda la realizzazione degli interventi.
Rispetto al percorso sin qui seguito parrebbe necessario procedere ad un più forte
processo di “riforma interna” della programmazione, che, pur evitando di determinare
“rotture” traumatiche che rischierebbero di ritardare la spesa e far perdere le risorse,
ponga più stringenti vincoli alla frammentazione, alla dispersione territoriale, e a
quell’eccesso di localismi che ha non marginalmente condizionato i risultati delle
politiche.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
19
LE POLITICHE DI FINANZA PUBBLICA
Gli effetti della crisi finanziaria – Sugli andamenti della finanza pubblica nel 2008
hanno giocato i primi effetti della grave crisi finanziaria. Le entrate delle pubbliche
amministrazioni sono cresciute di appena l’1%, per effetto di una flessione del Pil
rispetto al 2007 dell’1% e delle misure di riduzione del carico fiscale, dall’abolizione
dell’Ici sulla prima casa alla parziale detassazione degli straordinari e dei premi di
produttività, decise dal Governo. La spesa corrente è aumentata del 4,5% al netto
degli interessi sul debito, con un’incidenza sul Prodotto lordo che ha raggiunto il
livello record del 40,4%, mentre quella in conto capitale si è ridotta del 6,1%.
Finanza e spesa pubblica – La legge 42 del 2009 sul federalismo fiscale è destinata a
incidere notevolmente sugli assetti finanziari delle amministrazioni pubbliche. Ma pone
alcune questioni di non facile soluzione, in particolare per il Mezzogiorno: soprattutto la
definizione dei costi standard e l’attuazione degli interventi per il riequilibrio territoriale.
Attualmente il Sud ha un livello di spesa pubblica pro capite più basso rispetto al
Centro Nord, anche non considerando la spesa previdenziale che è più elevata
laddove ci sono maggiore occupazione e retribuzioni più alte: non è esatto, quindi,
sostenere che vi sia un eccesso di spesa nel Mezzogiorno.
Federalismo fiscale – La definitiva approvazione della legge delega sul federalismo
fiscale dovrà ora essere seguita da alcune decisive misure attuative: innanzitutto, entro
un mese dal suo varo, deve essere istituita una Commissione paritetica consultiva
composta da tecnici dello Stato e degli Enti territoriali. Successivamente, entro due anni,
dovranno essere predisposti i decreti delegati, ma già entro 12 mesi dovrà essere emesso
un primo decreto per definire i principi fondamentali in materia di bilanci pubblici. La
transizione al nuovo regime avverrà in un quinquennio, attraverso la convergenza
dalla spesa storica ai costi standard: punti essenziali saranno la quantificazione di
tali costi e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni.
Le prestazioni essenziali – Non tutte le funzioni saranno finanziate integralmente ma
solo le prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali, la sanità, l’assistenza, i compiti
amministrativi relativi all’istruzione, per garantire le quali si farà ricorso, a un
intervento perequativo dello Stato. Per la sanità il parametro c’è già ed è costituito dai
Lea (Livelli essenziali di assistenza).
I costi standard – Sarà introdotto un meccanismo di calcolo in base al quale si
sostituisce la spesa storica con una modalità di finanziamento oggettiva basata sui costi
di produzione. Ma è auspicabile che, nel determinarli, si tenga conto, a parità di
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
20
efficienza di Enti diversi, degli effetti che tali costi subiscono per effetto dei
differenti contesti ambientali e sociali.
Spesa pubblica al Sud – La spesa pubblica pro capite nel Mezzogiorno è stata nel 2007
pari a 10.490 euro, inferiore rispetto ai 12.300 euro pro capite del Centro Nord . Rispetto
al 2006 si è registrato nel Mezzogiorno un incremento delle spese correnti, che
invece si riducono nel Centro Nord, e una diminuzione di quelle per investimenti,
che invece aumentano in misura doppia nelle zone più sviluppate del Paese.
Focus su spese in conto capitale – La quota del Mezzogiorno sulla spesa in conto
capitale è stimata nel 2008 al 34,9%, una percentuale ben più bassa del 41,1% del
2001 e lontanissima dall’obiettivo del 45%, che ormai appare come una chimera.
Ha inciso su tale riduzione il ridimensionamento dei trasferimenti di capitale per
agevolazioni alle imprese, che non è stato sostituito, come nei programmi, da un
maggior impegno per la dotazione di infrastrutture. Nell’intero Settore Pubblico
Allargato, compresi cioè gli investimenti delle imprese pubbliche nazionali e locali, la
percentuale di spesa è ancor più bassa e si collocava nel 2007 al 32,1%.
Le risorse per le aree sottoutilizzate nel 2008 – Nella Finanziaria 2008 le risorse di
competenza per le aree sottoutilizzate sono pari a 13 miliardi e 646 milioni di euro. Tale
ammontare si riferisce per 8,557 milioni di euro agli stanziamenti per il cofinanziamento
delle politiche comunitarie, pressocchè raddoppiati rispetto all’anno precedente per far
fronte all’ingente quantità di pagamenti da effettuare entro fine anno al fine di non
perdere i fondi di Agenda Duemila. Modesto, invece, l’aumento delle risorse del Fondo
per le Aree Sottoutilizzate (FAS) che hanno raggiunto l’importo di 4.543 milioni di euro.
L’utilizzo delle risorse del FAS – Le risorse di competenza assegnate dalla Finanziaria
al FAS (4.543 milioni di euro) hanno subito nel corso dell’anno importanti tagli, per un
ammontare di 1.581 milioni di euro. Le risorse complessivamente disponibili,
comprensive dei residui passivi all’inizio dell’anno e al netto dell’accantonamento
disposto dalla Finanziaria 2007, sono state pari a 6.720 milioni: solo il 26% di questo
ammontare, corrispondente in valore assoluto a 1.752 milioni di euro, è stato trasferito,
su loro richiesta, alle amministrazioni responsabili degli interventi per essere da queste
utilizzati.
La finanza regionale – La situazione delle regioni a statuto ordinario mostra che,
nonostante le Regioni meridionali ricevano finanziamenti aggiuntivi, le loro entrate
pro capite sono inferiori del 6-5% rispetto alle corrispondenti regioni del Centro-
Nord. Analogamente più basse, del 2,4%, risultano le spese pro capite. La parte più
consistente della spesa regionale è costituita dalla sanità che rappresenta il 70% del
totale. Essa presenta nel 2008, sempre in riferimento alle Regioni a statuto ordinario, un
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
21
livello più basso del 3,7% nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord. Su tale livello
incide il sistema di finanziamento della sanità, che attribuisce minori risorse, in
riferimento alla popolazione effettiva, alle Regioni meridionali con una minore
incidenza della popolazione anziana.
La finanza locale - Gli Enti territoriali sono massicciamente coinvolti nella crisi
economica mondiale, in quanto in particolare il “Patto di stabilità” interno ha effetti pro
ciclici e non certo anti ciclici. Nei Comuni meridionali l’aumento delle entrate tributarie
è stato più del doppio rispetto al resto d’Italia, perché le aliquote Ici e le addizionali Irpef
applicate sono state più alte; questo fino a quando non è stata abolita l’Ici sulla prima
casa, che ha provocato una riduzione drastica delle entrate fiscali. La differenza di
comportamento tra i Comuni del Centro Nord e del Sud sta nel fatto che i primi
hanno reagito ai vincoli posti dal Patto di stabilità nel corso del 2008 riducendo sia
le spese correnti che le entrate tributarie, mentre i secondi hanno aumentato
entrambe, al fine di recuperare servizi adeguati per i cittadini.
Cosa pensa la Svimez - E’ difficile sostenere che il Mezzogiorno goda di un eccesso di
risorse o che spenda troppo;occorre piuttosto valutare la capacità ed efficacia di tale
spesa. Anzi, le Regioni meridionali hanno un livello di spesa pubblica, sia corrente che
in conto capitale, inferiore alle altre nonostante i finanziamenti aggiuntivi ad esse
destinati, che in realtà diventano così sostitutivi e servono a coprire le ordinarie
esigenze di dotazione di capitale e di sostegno agli investimenti.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
22
LE POLITICHE INFRASTRUTTURALI
La spesa per infrastrutture – Nel 2008 la spesa per investimenti pubblici ha registrato
una brusca caduta, pari al 2,8%. Tale diminuzione riguarda sia le amministrazioni
centrali che quelle locali. Ciò è la conseguenza sia della manovra correttiva precedente
all’esplosione della crisi, sia del sostanzioso taglio di risorse del Fas.
Gli investimenti nel Sud – Nel periodo compreso tra il 2000 e il 2008 la quota di spesa
in conto capitale della Pubblica Amministrazione nelle aree meridionali è
progressivamente calata al di sotto del 35%, dieci punti in meno del target prefissato del
45%. Ancor di più è diminuita se si guarda al Settore Pubblico Allargato, dove oggi tale
quota è attestata al 32%. In particolare, per quel che riguarda gli investimenti
infrastrutturali del Settore Pubblico Allargato sono cresciuti al Centro Nord
dell’17,8% e al Sud del 6,9%.
I SETTORI
Autostrade - La rete stradale nel Mezzogiorno presenta un indice di diffusione in linea
con la media nazionale, ma è costituita prevalentemente da strade con caratteristiche
non autostradali. Ad esempio fra tutte le regioni del Sud le autostrade a tre corsie
sono presenti solo in Campania e in misura minore in Abruzzo, mentre la
Sardegna è tuttora priva di autostrade. La mobilità stradale è dunque garantita nel
Mezzogiorno soprattutto da strade comunali, provinciali o regionali, generalmente a una
corsia.
Circa il 40% della rete autostradale meridionale non è sottoposta a pedaggio, una scelta
che comporta bassi livelli di servizio ed efficienza.
Ferrovie - Al Sud la dotazione è minore e la qualità modesta. Ad esempio solo il 7,8%
delle linee ad alta velocità, cioè il tratto campano Roma-Napoli, entrato in funzione nel
2005, risulta localizzato nel Mezzogiorno. A parte la Campania, molte regioni
dispongono di reti a binario doppio in misura minima (l’indice rispetto all’Italia è pari a
29 in Sicilia, 23 in Molise, 11 in Basilicata). La situazione più critica in Sardegna,
dove mancano completamente linee elettrificate.
L’offerta di servizi ferroviari è particolarmente modesta al Sud, dove le percorrenze
dei treni (treni-km)sono soltanto il 17% del totale per le merci e il 23% per i
passeggeri, un valore non diverso dalla situazione di dieci anni fa.
Porti - Nel Mezzogiorno i porti sono numerosi, concentrati soprattutto in Calabria,
Sicilia e Sardegna. Resta tuttavia elevato il deficit funzionale (magazzini, silos, binari
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
23
ferroviari). La maggior parte dei porti è di piccola dimensione e orientata al
transito passeggeri. I porti hub del Mezzogiorno praticano soprattutto il transhipment,
cioè la movimentazione di merci e container, per il cabotaggio interno e mediterraneo.
Ciò che limita maggiormente il potenziale sviluppo dei porti è la carenza dei centri
intermodali. Nel Mezzogiorno l’indice di dotazione è pari ad appena un ventesimo
del totale nazionale.
Aeroporti - Il livello degli aeroporti nelle regioni meridionali (per numero di strutture,
piste e dimensioni) è accettabile, pur mancando scali in Molise e Basilicata. La criticità
più forte è data ancora una volta dalla carenza di collegamenti. Nessun aeroporto del
Mezzogiorno, ad eccezione di Palermo, ad esempio è collegato con una stazione
ferroviaria.
Acqua - A livello nazionale circa 1/3 dell’acqua immessa in acquedotto viene
dispersa. Nel Mezzogiorno la situazione si fa ancora più critica, con il 37%
dell’acqua sprecata. In testa alla poco invidiabile classifica la Puglia, con oltre il
46% di dispersione, seguita da Sardegna (43%) e Abruzzo (41%). Praticamente in
Puglia su 308 metri cubi d’acqua pro capite (dati 2005) immessi nelle tubature solo
165 arrivano a destinazione, in Sardegna su 385 ne arrivano 219, in Abruzzo 415
su 245.
Se a livello nazionale solo il 3,2% della popolazione non dispone di acque depurate,
la percentuale sale al Sud, arrivando al 7% in Calabria e addirittura all’11,5% in
Campania. In Sicilia il 3% della popolazione è priva di fognature, il 3,6% in
Puglia, mentre tale servizio è presente in tutte le altre regioni.
La presenza di un apparato produttivo meno sviluppato non ha influito positivamente
sullo stato delle acque meridionali, che presentano in Sicilia e Puglia livelli di qualità
preoccupanti. Né si può chiamare in causa la mancanza di depuratori, dato che negli
ultimi anni le regioni hanno fatto grossi passi in avanti nelle dotazioni.
Energia - La dotazione di reti di energia elettrica è al Sud molto carente: su un indice
nazionale di 100, ad esempio, le reti a media tensione in Puglia sono ferme a 22, ad alta
tensione in Sardegna a 36. Sempre in Sardegna manca totalmente una rete
secondaria di trasporto del gas.
Le interruzioni di energia elettrica sono ancora molto diffuse in Sicilia (il doppio
della media nazionale), Campania e Calabria.
Interessante notare che la diffusione delle fonti rinnovabili vede il Sud in testa
rispetto al Centro-Nord, con punte eccezionali in Molise, Calabria, Basilicata e Puglia.
Ambiente – La gestione del ciclo delle risorse naturali al Sud nasconde una realtà molto
variegata e curiosa, al di là dei luoghi comuni.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
24
Rifiuti – In dieci anni, dal 1997 al 2008 la produzione di rifiuti urbani è cresciuta nelle
regioni meridionali di 1,5 milioni di tonnellate, raggiungendo quota 10,6. A produrre più
rifiuti Calabria (+35%, media nazionale +22%), Abruzzo e Puglia (+27%). Nel 2007 ogni
cittadino del Sud ha prodotto in media 508 kg di rifiuti (Sicilia 536, Molise 414). La
crescita è stata legata al reddito e ai consumi.
Differenziata – A fronte di una media nazionale del 27,5% (con il Nord a 42,4%), il Sud
resta lontano anni luce, fermo all’11,6%. Ma non tutto: la Sardegna è al 27,8%, con punte
superiori al 50% nel Medio Campidano e nell’Ogliastra. Anche l’Abruzzo non è da
meno, con Teramo che realizza il 30%.
A livello settoriale al Sud si raccoglie il 13% sul totale nazionale di organico (18 kg
all’anno su 49 di media), il 15% di carta (41 kg contro 61), il 16% di vetro, il 14% di
plastica.
Ma il problema vero sono i costi, dovuti a una cattiva gestione del ciclo: la raccolta e il
trasporto dell’indifferenziato costa al Sud 80 euro a tonnellata contro i 65 del
Centro-Nord. Il trattamento e smaltimento spazia dai 45 euro a tonnellata della Calabria
ai 99 della Campania.
Situazione ancora peggiore per la differenziata: al Centro-Nord, dove si recuperano
maggiori quantità di materiali, il costo medio è di 124 euro a tonnellata, al Sud poco
meno del doppio, 220 euro.
Inoltre se dal 2003 al 2006 a livello nazionale la quantità di rifiuti speciali smaltita a
discarica è passata da 19,7 a 18,2 milioni di tonnellate, il Sud ha registrato una crescita di
quasi un punto percentuale, da 4,3 a 5,2 milioni di tonnellate.
Impianti – Dei 47 impianti di incenerimento italiani solo 7 sono nel Sud, concentrati in
Sardegna e Campania. Al Sud fa da padrone lo smaltimento in discarica, con circa l’85%
dei rifiuti.
Sismi, frane ed erosioni – I 5.581 comuni italiani a rischio idrogeologico secondo il
Ministero dell’Ambiente si concentrano in alcune regioni: Valle d’Aosta, Umbria,
Calabria, Toscana e Marche, con valori compresi tra il 100 e il 98% di sismicità.
A guidare la poco invidiabile classifica la Calabria, con il 100% dei 409 comuni
coinvolti, seguita dalla Basilicata (94%), Molise (89%) e Campania (86%). Il 70% dei
comuni siciliani è a rischio per le frane e sono molto colpiti dal fenomeno anche
Campania e Calabria.
Quanto alle erosioni, la situazione è critica in Basilicata, con il 73% dei km di spiaggia
colpiti dal fenomeno, seguita da Puglia (48%) e Calabria (34%).
Logistica - Gli scambi commerciali tra Est asiatico ed Europa si sviluppano via mare
soprattutto attraverso il canale di Suez ed il Mediterraneo. Dalla metà degli anni ’90 al
2007 la domanda di traffico marittimo di container nel Mediterraneo è cresciuta in
media del 9% all’anno. Grazie alla sua posizione geografica il Mezzogiorno ha un
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
25
vantaggio di circa 6-7 giorni di percorrenza rispetto ai principali porti del Nord Europa
(Francia, Belgio, Paesi Bassi e Germania) per raggiungere i mercati mitteleuropei. Nei
porti del Nord Europa nel 2008 la crisi si è fatta sentire di meno che nell’Europa del Sud
(+2,1%, contro appena lo 0,4%).
Nel 2008 nel Mezzogiorno i volumi di traffico container sono scesi di quasi il 4% a
fronte della crescita del 3% del Centro-Nord. A trainare il segno meno Cagliari (-
53,2%) e Salerno (-14%). I porti meridionali perdono inoltre competitività per la
mancanza di una adeguata integrazione tra traffico portuale e terrestre. Ad esempio
infatti soltanto il 2% dei container al Sud viene instradato via ferrovia, rispetto al
18% del Centro-Nord (il 14% a Livorno, il 18% a Ravenna, il 23% a La Spezia e
appena l’1,4% a Gioia Tauro). Nonostante la diversa dotazione portuale Nord-Sud, il
48% del totale di container è movimentato nel Centro-Nord e il 52% nel Sud, con un
trend che vede il Sud dal 2002 perdere quote di traffico.
Un’eccezione - L’interporto di Nola, considerato come un polo dell’intermodalità e
della logistica fra i più importanti d’Italia e d’Europa. Nato nel 1986, in posizione
centrale tra Tirreno e Adriatico, oggi è dotato di una pluralità di servizi e infrastrutture.
Al suo interno il CIS rappresenta il più importante polo di distribuzione commerciale
d’Europa, con oltre 300 aziende e 3.500 addetti. Il terminal intermodale è il cuore
dell’Interporto, con una stazione ferroviaria interna altamente automatizzata dotata di 13
coppie di binari elettrificati. In questo modo l’Interporto è collegato con la rete
ferroviaria nazionale, i porti del Sud e Nord Italia, e il Centro-Nord Europa
Internet e la banda larga - La diffusione della banda larga in Italia è cresciuta molto
dal 2002 al 2007: la popolazione servita era il 63% nel 2002, cinque anni dopo è salita
al 94%. In base agli ultimi dati disponibili (2005) in Italia sono presenti 7,7 milioni di
km di cavi ottici, di cui 2,1 nel Mezzogiorno. Nel 2009 possiedono un personal
computer poco più del 53% delle famiglie del Centro-Nord e il 45% delle famiglie
meridionali, con un trend crescente rispetto al 2007, più marcato nelle regioni del Nord;
l'accesso ad internet è presente nel 35,2% nelle famiglie meridionali e in quasi il 45,2%
nelle famiglie centro-settentrionali. Le regioni meridionali dove si è registrato il
maggior incremento di accessi alla banda larga sono Basilicata, Puglia e Calabria.
Legge Obiettivo e Infrastrutture – Quanto alla Legge Obiettivo, il più importante
programma infrastrutturale del Paese negli ultimi anni, si segnala che a fine 2008 un
parte decisamente minoritaria delle opere approvate dal CIPE risulta localizzata nel
Mezzogiorno: il 28,6% per un ammontare di circa 33 miliardi di euro. Tra le varie
tipologie infrastrutturali, la quota del Mezzogiorno per opere ferroviarie è appena del
7,5% , quelle stradale del 37,5% e quella per porti e interporti del 28,6%: una
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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distribuzione degli interventi che non prefigura alcun riequilibrio modale nel sistema dei
trasporti.
.
Accordi di Programma Quadro – Nel periodo 2000 – 2008 gli Accordi di Programma
Quadro delle Intese Istituzionali di Programma hanno riguardato 20.660 progetti, per un
costo di 85 miliardi. Di questi oltre il 60% dei progetti e quasi il 76% dei costi sono
relativi a infrastrutture e ben più della metà di entrambi ha per oggetto interventi nel
Sud.
QCS 2000 – 2006 – L’altro rilevante capitolo di spesa indirizzato alle infrastrutture è
quello dei Fondi strutturali comunitari, in particolare sull’ Asse “Reti e nodi di
servizio”, per il quale il livello di impegno ha superato il 127% delle risorse disponibili
e anche la spesa ha oltrepassato il 100%, attestandosi al 108,1%. Con un evidente
avanzamento del Pon Trasporti, che da solo raggiunge il 122% degli impegni e il
112,1% delle erogazioni. A fine 2008 erano stati conclusi più di 20mila progetti
infrastrutturali, di cui oltre 16mila nel Mezzogiorno.
QCS 2007 – 2013 – Il Programma infrastrutturale 2009 – 2012 si basa su tre grandi
capitoli di spesa: la Legge Obiettivo, le reti transeuropee e il Pon reti e mobilità.
Complessivamente sono stati programmati 133 miliardi, di cui 70,5 già finanziati. I
progetti TEN prioritari sono: TEN 1, l’asse ferroviario Berlino – Verona – Bologna –
Napoli- Messina – Palermo; il TEN 6, l’asse ferroviario Lione – Torino – Trieste,
Lubiana – Budapest – Ucraina; il TEN 21, le Autostrade del Mare, il TEN 24, l’asse
ferroviario Genova – Basilea – Duisburg – Rotterdam. Per la realizzazione di numerosi
interventi infrastrutturali si farà ricorso al “project financing”. La proposta del ministro
Tremonti di bond europei per il finanziamento delle infrastrutture potrebbe essere utile,
così come l’introduzione di un trattamento contabile più favorevole per le spese in
infrastrutture. Al Pon reti e mobilità è stato assegnato 1 miliardo e 375 milioni.
Manovre anticicliche negli altri Paesi – In Belgio c’è stata una contenuta
accelerazione degli investimenti infrastrutturali; in Germania sono stati accelerati quelli
nelle reti di trasporto. In Spagna si è deciso di puntare sulle opere locali. In Francia è
stata accelerata la spesa e sono stati attivati nuovi crediti. In Austria sono previsti
modesti investimenti aggiuntivi. In Svezia l’investimento infrastrutturale con finalità
anti cicliche è molto modesto. In Gran Bretagna sono stati accelerati gli interventi già
programmati. Negli Usa sono state stanziati 70 miliardi di euro aggiuntivi per le
infrastrutture. In Cina saranno investiti poco più di 200 miliardi per realizzare strade,
ferrovie ed aeroporti. In Italia un importante contributo a una manovra anti ciclica sulle
infrastrutture lo potrebbe fornire la realizzazione di opere pubbliche piccole e medie, a
condizione che si decida di puntare su quelle immediatamente cantierabili. Nel decreto
anti crisi è esplicitamente prevista la nomina di commissari straordinari, scelti dal
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
27
Presidente del Consiglio, ai quali attribuire poteri di vigilanza e anche poteri sostitutivi.
Nello stesso provvedimento sono stati drasticamente ridotti i termini per eventuali
ricorsi giurisdizionali. Per gli interventi di particolare complessità si potrebbe ricorrere a
un Commissario Delegato per lo stato di emergenza socio- economico- ambientale,
com’è avvenuto, con buoni risultati, per il Passante di Mestre.
Cosa pensa la SVIMEZ - Bisogna puntare su ben individuate priorità: sarebbe
opportuno riorientare la spesa per le infrastrutture su poche e significative priorità,
sugli interventi immediatamente realizzabili e di indubbia efficacia, su progetti che
possano avere una sicura valenza meridionalistica. Le criticità del nostro sistema
logistico-infrastrutturale sono date dalla congestione nel Centro-Nord e
dall’isolamento geo-economico nel Mezzogiorno. Occorre sfruttare il vantaggio
geografico del Mezzogiorno nelle rotte tra Far East ed Europa con una strategia
integrata che investa tutte le articolazioni del Paese (valichi alpini, reti ferroviarie,
stradali, collegamenti ai porti e alle strutture di movimentazione e lavorazione delle
merci). La concorrenza mediterranea dovrebbe indurre a sviluppare nel Sud nuove
opportunità di sviluppo, come dimostra il caso eccellente dell’interporto di Nola.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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LE POLITICHE CREDITIZIE
Credito e Mezzogiorno - Dai primi anni ‘90, la crescente integrazione economica
internazionale ha spinto le banche italiane a muoversi in un contesto più competitivo. Lo
prova la crescita delle fusioni, 552 dal 1990 al 2001. Nonostante questo, la dimensione
del mercato bancario italiano è ancora sotto la media europea e tale criticità si fa sentire
soprattutto al Sud.
Banche - Tra il 1990 e il 2001 il numero di banche presenti nell’area si è ridotto del
46% contro il 20% del Centro-Nord. Il numero di banche meridionali indipendenti,
sia Spa che Banche popolari, è crollato da 100 del 1990 a 16 del 2004; negli stessi
anni le banche di credito cooperativo (BCC) si sono più che dimezzate (da 213 a 111).
Mentre resta forte la dipendenza del sistema bancario meridionale dal Centro-Nord: nel
periodo in questione le banche appartenenti a gruppi dell’altra ripartizione sono
salite da 0 a 21, con una forte diffusione in Basilicata, Calabria e Sardegna. Nel 2008 il
numero di banche operative nel Mezzogiorno è diminuito di 5 unità, portandosi a 223.
Tra le 151 banche con sede amministrativa in una delle regioni meridionali 17 facevano
parte di gruppi del Centro-Nord (Tab. 3).
Sportelli - L’Italia è il paese con il più alto numero di sportelli per abitante in Europa
dopo la Spagna, ma la loro diffusione è disomogenea e legata al diverso peso economico
regionale (presenza di imprese, densità di popolazione, PIL): per esempio, dal 2001 al
2006 il numero di comuni con sportelli bancari è cresciuto in Lombardia del 21%
mentre è calato del 15% in Sardegna, del 9% in Calabria e Sicilia e del 5 in
Basilicata. Da segnalare che mentre sono state le banche nazionali più grandi a ridurre
sportelli e personale (-20% in Italia), sono quelle minori e di credito cooperativo a essere
più dinamiche. Nel periodo in questione infatti nel Mezzogiorno le banche di medie
dimensioni hanno dimezzato gli sportelli (da 21% a 11%), mentre sono state soprattutto
le banche di piccole dimensioni a crescere. Il numero degli sportelli di strutture di questa
tipologia è passato nel Sud dall’11,8% al 12,7% e nelle isole dal 4,4% al 7,6%. In
crescita anche il numero di sportelli delle banche di credito cooperativo, passate
nelle due ripartizioni rispettivamente da 8,4% a 9,2% e da 5,8% a 6,5%.
Gli sportelli bancari nel Sud sono saliti di 136 unità (1,9%); dal 2000 al 2008 il numero
di terminali POS presso gli esercizi commerciali per ogni 1.000 abitanti è passato da 5 a
15, restando su livelli più contenuti della media del Centro-Nord (25,1). Sulla stessa
linea la diffusione delle carte di credito, passate dal 2000 al 2008 da 176 a 430 ogni
1.000 abitanti, lontani sempre dai livelli del Centro-Nord (796).
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
29
Accesso al credito - Resta poi il grande problema dell’accesso al credito: al Sud dal
2004 al 2006 il 9,3% delle imprese ha lamentato difficoltà, contro il 3,8% del Nord.
Dal 2007 al 2008 inoltre il tasso di crescita annua dei prestiti alle imprese è crollato
al Sud dal 14,9% al 7,9% contro il calo più contenuto a livello nazionale (da 12,4% a
10,2%). A farne le spese le aziende con un numero di addetti inferiore a 20: dal 2007 al
2008 i prestiti a breve termine a piccole imprese meridionali sono crollati da 6,9 a 2,4%,
mentre nello stesso periodo le aziende del Centro-Nord hanno registrato una dinamica
più positiva (da 2,6 a 3,1%).
Famiglie - Nel 2008 i prestiti bancari alle famiglie del Mezzogiorno sono cresciuti
quasi del 7%, in rallentamento rispetto all’anno precedente. Il calo è stato più forte nel
comparto dei mutui. Crescita ancora più ridotta per i prestiti alle imprese (+5,4%, erano
il doppio nel 2007), che sono stati più contenuti specialmente per le aziende di piccole
dimensioni.
Il clima di incertezza generale ha spinto a una crescita del risparmio, più forte al
Centro-Nord (12,6%) che nel Mezzogiorno, dove i depositi delle famiglie sono
aumentati del 7,7%. Le famiglie hanno privilegiato forme di investimento tradizionali e
a basso profilo di rischio (titoli di Stato e obbligazioni societarie)
Cosa dice la SVIMEZ - La “rete creditizia” meridionale risulta quantitativamente ma
si rivela relativamente più fragile ed inadeguata funzionalmente ad accompagnare lo
sviluppo delle imprese.
Occorrerebbe individuare forme di controllo e di promozione tali da rendere la rete
bancaria molto più incisiva e vantaggiosa per i sistemi produttivi locali.
Qui entra in campo necessariamente il regolatore pubblico. Per governare i rischi della
banca rete viene in mente quanto da anni la Vigilanza statunitense si ripromette di
conseguire a salvaguardia delle comunità locali attraverso la regolazione contenuta nel
cosiddetto Community Reinvestment Act.
Potrebbe essere auspicabile la promozione da parte delle Regioni meridionali di un
“osservatorio attivo” capace di dettare (e non di imporre) linee guida di
comportamento nei confronti del sistema bancario. L’azione dovrebbe essere anche
quella di promuovere un significativo irrobustimento di una “rete” di banche locali,
premessa essenziale per avviare un nuovo e più fisiologico rapporto con la clientela.
La riforma dei Confidi può costituire uno strumento a disposizione delle imprese
associate nel rapporto con le banche, per l’accesso al credito a condizioni mediamente
più favorevoli di quelle altrimenti ottenibili da un’impresa non associata.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
30
LE POLITICHE DELLA P.A.
Qualità dei servizi pubblici al Sud – La qualità dei servizi pubblici essenziali, come
giustizia, sanità, istruzione, trasporti, lavori pubblici, servizi locali, è al Sud molto bassa
e inferiore al resto del Paese. Ciò ha rilevanti ricadute sulle condizioni di vita dei
cittadini e sul funzionamento dell’economia, limitando fortemente sia gli investimenti
stranieri che quelli delle grandi società pubbliche. In alcune zone ciò è aggravato
dall’influenza della criminalità organizzata. Per di più le liberalizzazioni, le
privatizzazioni, la riforma dei servizi pubblici locali e i processi di decentramento hanno
finito per ampliare il divario tra Settentrione e Mezzogiorno. Una forbice, quella tra le
due Italie, che non è solo connessa a vincoli di bilancio, ma a vere e proprie
inefficienze di organizzazione e gestione dei flussi finanziari.
I ritardi della P.A. – La riforma della Pubblica Amministrazione ha avuto come
obiettivo la rottura di una prassi burocratica vincolata più alla legalità formale che alla
cultura del risultato, e perciò stesso tesa a privilegiare gli interessi dei cittadini
beneficiari. Ma non è riuscita a recidere i nodi gordiani che rendono la nostra P.A. più
costosa e meno efficiente, appesantendo così la competitività del Sistema Paese. In
particolare è rimasta irrisolta la questione dei rapporti tra poteri politici e
amministrativi, i cui confini sono ancora troppo labili e indefiniti, mantenendo in
vita, in particolare nelle aree meridionali, un rapporto di sudditanza del dirigente
pubblico, il quale è penalizzato nella sua autonomia e, per di più, mortificato dalla
mancata incentivazione di ogni forma di meritocrazia. Mentre nelle esperienze straniere
è la dirigenza pubblica ad assumere un ruolo centrale nella formulazione dei programmi.
La gestione dei rifiuti – Forti divari territoriali permangono nella gestione dei rifiuti
solidi urbani tra le diverse aree del Paese. In base ai dati 2007, degli oltre 623 kg per
abitante raccolti, il 56,5% va in discarica, il 21,3% è destinato a impianti di recupero, il
16,4% è incenerito, il 5,9% è avviato a impianti di compostaggio. Ma, mentre al Nord
l’incenerimento rappresenta il 31,7% del totale, il recupero il 30,8% e il compostaggio
l’8,4%, al Sud si ricorre quasi esclusivamente alle discariche, dove finisce l’83,3%
dei rifiuti raccolti. Ciò vuol dire che la raccolta differenziata, che avrebbe dovuto
raggiungere il target del 40%, si attesta in Italia su un ben più contenuto 27,5%, che al
Sud cala addirittura all’11,6%.
Servizi alle imprese – I fattori di localizzazione capaci di attrarre nuove imprese non
sono costituiti solo dalle aree attrezzate, dai distretti industriali e dai sistemi locali di
sviluppo, in quanto è necessario che soprattutto i Governi locali siano capaci di mettere
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
31
in campo una serie di interventi in campo amministrativo, nella realizzazione delle
infrastrutture, nell’erogazione dei servizi reali, nell’attuazione di politiche del lavoro.
Passi avanti significativi sono stati lo Sportello Unico delle Attività Produttive, i Centri
per l’Impiego, l’adozione di strumenti di marketing territoriale e di aiuti
all’internazionalizzazione attraverso Sprint. Ma l’indice del buon governo, misurato su
questi parametri, è diverso dal Centro Nord al Sud, dove è più basso del 30%.
Capitalismo municipale al Nord e al Sud - Il ritardo delle Regioni meridionali non
riguarda solo la quantità e qualità dei servizi pubblici offerti, ma anche le imprese
municipali, che sono ulteriormente aumentate in tutt’Italia, anche se quelle al Sud hanno
un numero di dipendenti mediamente superiore, un fatturato più contenuto e un valore
aggiunto per addetto più basso. Non solo, ma, analizzando i bilanci, si vede che mentre
quelle del Centro Nord fanno utili in media di oltre mezzo milione quelle meridionali
accusano perdite pari a più di 260mila euro: ciò deriva dall’inefficienza di tali
aziende e dalla eccessiva commistione tra politica a gestione.
Tempi opere pubbliche - L’armatura infrastrutturale dell’Italia è decisamente inferiore
rispetto agli altri partners europei. Il divario, invece di diminuire nel corso degli anni, si
è allargato, ed è ancora maggiore se si considerano le Regioni meridionali. Sui ritardi
nella realizzazione delle opere pubbliche incide una molteplicità di fattori, che, in
particolare al Sud, va dalla revoca di lavori non avviati a opere completate nel doppio
del tempo previsto, a lavori consegnati ma non collaudati, alla modesta capacità di
progettazione delle pubbliche amministrazioni, ai ritardi nei pagamenti da parte dei
committenti, all’elevata diffusione del contenzioso. Per progettare e affidare i lavori
di un’infrastruttura sono necessari in Italia 900 giorni, risultanti dalla media di
diversi valori regionali: dai 583 in Lombardia e 693 in Emilia ai 1.100 giorni della
Campania e 1.582 della Sicilia.
Nuove tecnologie e servizi all’utenza – Negli Enti locali si sono andate via via
diffondendo importanti innovazione tecnologiche. Ma, nonostante questi progressi, al
Sud i tempi di attesa a una Asl sono ancora molto elevati, con circa il 53% degli utenti
(40% al Nord) costretto a una fila di oltre 20 minuti, così come i servizi offerti dagli
uffici postali sono ulteriormente peggiorati, per cui 45 persone su 100 restano in fila più
di 20 minuti. Disparità territoriali più modeste tra Nord e Sud riguardano l’erogazione di
elettricità e gas, solo per l’acqua i problemi di distribuzione nelle aree meridionali sono
ancora oggi non completamente risolti.
Servizi socio assistenziali – Permane una diffusa critica dei cittadini per la qualità di
alcuni servizi socio assistenziali, in particolare i ricoveri ospedalieri: nel Mezzogiorno
neppure il 19% dei malati è soddisfatto, a fronte del 45% del Centro-Nord, e lo si
vede dal dato relativo al tasso di emigrazione dai nosocomi del Sud verso quelli del
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
32
Nord, pari al 10,7%. Per di più le cure domiciliari riguardano il 3,9% degli assistiti nel
Settentrione e appena l’1,8% nelle aree meridionali. Lo stesso vale per i bimbi accolti in
asili nido, che in Italia sono poco più dell’11% del totale, nel Centro-Nord il 15% e
calano fortemente al Sud ad appena il 4,5%.
Cosa dice la Svimez - La necessità di rilanciare gli interventi di politica nazionale e
regionale di sviluppo riporta inevitabilmente al nodo critico irrisolto e mai affrontato in
modo sistemico della riforma della Pubblica Amministrazione.
Come accaduto nelle esperienze straniere di maggior successo, essa permetterebbe di
rimettere in circolo riserve di produttività compresse da dispositivi normativi e dal
conformismo dei comportamenti burocratici. Sino ad ora nel nostro Paese i tentativi di
intervento hanno mostrato una sostanziale inefficacia.
Al tempo stesso, si trascina irrisolta al Sud ancor più che al Nord la questione dei
rapporti tra poteri politici e poteri amministrativi; da qui la continuità di un rapporto di
sudditanza del dirigente pubblico al potere politico
Le informazioni raccolte da una serie di indagini condotte da Istat, Banca d’Italia, DPS
ed Autorità di settore, danno conto che i risultati di una inefficace azione della Pubblica
Amministrazione si riflettono con particolare gravità nel Mezzogiorno.
Una pluralità di inefficienze che riducono la qualità della vita nel Sud e sono il riflesso
di uno Stato che nel Sud è debole proprio nell’erogazione dei servizi che dovrebbe
essere fondamentali
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
33
POLITICHE PER IL SUD
I tagli al Fas – Il finanziamento delle misure anti crisi economica in Italia è stato
garantito spostando su quest’obiettivo risorse già presenti nel bilancio alle quali era
stata data inizialmente una diversa finalità. In particolare ricorrendo a quelle
destinate alle aree meridionali attraverso il Fondo Aree Sotto Utilizzate, che sono
state spostate su obiettivi oggi considerati prioritari per rilanciare l’economia, dalle
grandi opere pubbliche, perché i cantieri hanno una funzione anticiclica, agli interventi
per attutire l’impatto della perdita di posti di lavoro.
La modifica dei meccanismi di stanziamento e di spesa dei fondi finalizzati alle politiche
di riequilibrio e di coesione è avvenuta in tre modi; sia recuperando risorse relative al
periodo 2000 – 2006 assegnate dal Cipe ma non ancora impegnate, che sono stati
revocate ai beneficiari e riassegnati al FAS; sia creando un nuovo Fondo per il
finanziamento delle infrastrutture di livello nazionale la cui dotazione è costituita da
risorse provenienti dal FAS; sia, infine, attraverso una ricognizione prima e una
riprogrammazione poi, effettuata dal Cipe, di quelle risorse non ancora impegnate
reperite dai vecchi progetti sponda o coerenti, quelli cioè in un primo momento
finanziati con fondi nazionali e successivamente inseriti nei programmi comunitari.
Come cambia il QSN – Queste modifiche negli stanziamenti delle risorse del Fas
effettuate nel corso del 2008 e nei primi mesi del 2009, hanno comportato una
ridefinizione del Quadro Strategico Nazionale 2007 – 2013 approvato dalla
Commissione Europea a metà luglio 2007. All’inizio dello scorso anno il FAS poteva
contare su 64 miliardi e 379 milioni, stanziati con la Finanziaria 2007 e poi rimodulati
con quella del 2008, di cui l’85% destinato alle aree meridionali e il restante 15% alle
zone sotto utilizzate del Centro Nord. Come anche in passato, la previsione era di un
basso impiego delle risorse nel biennio 2007 – 2008, con una successiva accelerazione
della spesa a partire dal 2010.
Le nuove destinazioni dei fondi Fas - Una cospicua parte dei fondi Fas, nel corso del
2008 e dei primi mesi del 2009, è stata destinata, con leggi e con delibere Cipe, alla
copertura finanziaria di altre esigenze della finanza pubblica ritenute prioritarie.
E’ il caso dei provvedimenti per arginare la crisi finanziaria internazionale presi dal
Governo nel secondo semestre dell’anno scorso, in sintonia con le decisioni degli altri
partners europei. Misure che avevano lo scopo di stabilizzare il sistema del credito,
sostenere l’economia reale messa a dura prova, rilanciare gli investimenti e contrastare
la crescente disoccupazione.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
34
Una quota consistente di risorse del FAS è stata concentrata in altri Fondi: il Fondo
sociale per l’occupazione e la formazione, che agisce anche come forma di sostegno al
reddito, il Fondo Infrastrutture, il Fondo per la Competitività poi confluito nel Fondo
Strategico a sostegno dell’economia reale presso la Presidenza del Consiglio.
Cosa comportano i tagli al Fas - I tagli effettuati alla risorse inizialmente destinate al
Fas hanno sottratto risorse al Sud destinandole ad altri scopi e hanno comportato
una dequalificazione della spesa pubblica, in quanto in numerosi casi stanziamenti che
erano in precedenza finalizzati a investimenti sono stati trasferiti a un Fondo che serve,
invece, a coprire spese correnti. Per di più ogni euro di spesa corrente fatto con le risorse
del FAS provoca, contabilmente, un taglio sul Fondo pari ad almeno il triplo, a causa
dell’accelerazione dell’utilizzo dei soldi che, destinati alla spesa corrente, hanno effetti
immediati.
Il volume delle risorse FAS mobilitato prima per il finanziamento di interventi di
carattere emergenziale (emergenza rifiuti, risanamento bilanci Comuni Roma e Catania,
ecc..) e, successivamente, per misure anticrisi è ingente: partendo dalle risorse
appostate dal Bilancio pluriennale 2008-2010 sul Fondo Aree Sottoutilizzate e di
quelle previste per finanziare impegni con un profilo pluriennale di spesa anche per
gli anni 2011-2012, a maggio 2009 risultavano utilizzi del FAS per oltre 18
miliardi di euro a valere sulle risorse stanziate per il periodo 2008-2012.
Le risorse rimaste al Sud - In seguito ai tagli di risorse del FAS, a marzo 2009 la
dotazione del Fondo Aree Sotto Utilizzata per il periodo 2007 – 2013 era diminuita
a circa 53 miliardi e mezzo. Il Cipe, il 6 marzo di quest’anno, dopo aver preso atto di
una destinazione al Fondo infrastrutture di circa 7 miliardi ha ripartito la somma di 45
miliardi, destinando 27 miliardi circa alle Amministrazioni regionali e ripartendo la
quota restante paria a circa 18 miliardi tra i tre fondi: il Fondo sociale per l’occupazione
e la formazione, il Fondo Infrastrutture, il Fondo Strategico a sostegno dell’economia
reale.
Tali fondi, pur formalmente vincolati per legge (il DL 185 prevede che nell’attribuzione
delle risorse FAS ai tre fondi debba essere rispettato il vincolo di destinazione dell’85%
in favore delle regioni del Mezzogiorno e del 15% in favore delle aree sottoutilizzate
delle regioni del Centro-Nord), di fatto sono stati successivamente utilizzati per finalità
specifiche non condizionate a particolari destinazioni territoriali. Esemplare è il caso del
Fondo sociale per l’occupazione e la formazione, nel quale confluiscono, in modo non
distinto, oltre alle risorse FAS destinate alle aree sottoutilizzate, anche le risorse del
Fondo per l’occupazione nonché tutti gli stanziamenti per il finanziamento degli
ammortizzatori sociali, concessi in deroga alla normativa vigente, e quelli destinati in
via ordinaria dal CIPE alla formazione
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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Cosa dice la Svimez – Con i decreti anticrisi, una percentuale significativa delle risorse
FAS è stata stanziata su altri fondi. L’area meridionale si trova pertanto a competere,
in termini di capacità di assorbimento, con le aree a più alto tasso di sviluppo del Paese
che riescono ad attivare una più efficiente programmazione di spesa e più elevati livelli
di progettualità.
Emerge con evidenza, una configurazione di “non neutralità” delle crisi che rischia di
dare luogo ad una tendenza alla redistribuzione delle risorse a favore delle aree più
forti che potrebbe perdurare anche oltre la fase congiunturale.
Da questo punto di vista sono assolutamente attuali le parole di Pasquale Saraceno nel
lontano 1975:
“Quando, come quest’anno non vi è alcun surplus dell’economia da distribuire tra varie alternative di
utilizzazione, ma anzi è l’impoverimento generale che occorre distribuire, la forza organizzativa di
pressione e di lotta in difesa degli interessi immediatamente minacciati, tende naturalmente a prevalere …
Le regioni settentrionali sembrano di fatto reclamare a sé la parte più rilevante delle risorse da destinare
alla ristrutturazione, e quindi anche al futuro sviluppo, dell’industria italiana … Non sarebbe certo
sorprendente per chi non ignori la storia italiana degli ultimi venti anni, che il grande obiettivo
dell’unificazione economica del Paese sia di fatto travolto da una successione di decisioni condizionate
dall’evolversi della congiuntura”.
Oggi come allora conserva la sua validità l’indicazione della necessità di una politica di
sviluppo nazionale unitaria in grado di conciliare la necessità di risanamento e
riconversione dei sistemi produttivi a più alto tasso di sviluppo con il mantenimento di
una azione costante per la riduzione del divario di sviluppo tra Sud e Nord.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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POPOLAZIONE, SCUOLA E MERCATO DEL LAVORO, MIGRAZIONI
Sessanta milioni di italiani – Alla fine del 2008 la popolazione italiana residente ha
raggiunto la soglia dei 60 milioni di abitanti, concentrati per quasi il 66% al Centro-
Nord. Il Mezzogiorno a fine 2008 ha superato i 20,8 milioni.
Avanti i vecchi e gli stranieri non basteranno - Nel 2030 il Mezzogiorno avrà una
popolazione ridotta e invecchiata. Al Sud il flusso di immigrati non basterà a
compensare il calo degli attivi meridionali: qui tra il 2008 e il 2030 infatti la forza lavoro
perderà circa 2,2 milioni di persone, a fronte di 150 mila nuovi stranieri. Oggi i giovani
sotto i 20 anni sono il 21,5% della popolazione e gli over 65 il 18%. Tra trent’anni i
giovani sotto 20anni scenderanno al 17%, e avrà meno di 40 al Sud il 36% della
popolazione (oggi è quasi il 50%); gli ultrasessantacinquenni cresceranno del 65% e la
quota degli ultraottantenni raddoppierà dall’attuale 5% al 10%. Conseguenze: un deficit
di forza lavoro locale e una necessaria modifica degli stili di consumo e della gestione
del welfare.
Natalità e mortalità - Nel 2008 il Centro-Nord ha registrato un tasso di natalità
leggermente superiore a quello del Sud: 9,7‰ contro 9,6‰. Per quanto riguarda la
mortalità, la media meridionale è dell’8,9‰, mentre al Centro-Nord il 10,1‰.
Nel 2008 soltanto tre regioni meridionali su otto (Campania, Puglia e Sicilia) hanno
evidenziato un incremento naturale positivo.
Figli e matrimoni – Resiste al Sud la tendenza a contrarre matrimonio a un’età media
relativamente più giovane rispetto al Centro-Nord. L’età media degli sposi meridionali
nel 2007 è stata di 31,9 anni per gli uomini e di 28,8 anni per le donne (rispettivamente
33,5 nel Centro e 30,4 nel Nord), in aumento rispetto a dieci anni prima, quando sia gli
uomini che le donne si sposavano mediamente prima dei trent’anni.
Di conseguenza, anche il numero di figli è sceso, arrivando nel 2007 a poco più di 1
figlio a testa (1,3), a un’età media pari a 30,7 anni. La quota più consistente di nascite va
attribuita a donne tra i 30 e i 50 anni, che sempre più raramente partoriscono un secondo
e un terzo figlio.
Il peso degli stranieri - La popolazione italiana continua a crescere grazie agli stranieri
presenti nel nostro Paese. Nel 2002 erano 1,2 milioni; all’inizio del 2008 sono diventati
3,4 milioni.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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Quasi il 90% dei residenti, pari a circa 3 milioni, si concentra nelle regioni del Centro-
Nord, mentre al Sud sono poco meno di 430 mila unità e mediamente più vecchi di un
paio d’anni (33 contro 31).
Secondo stime Istat gli stranieri in Italia nel 2030 saranno 8 milioni e cresceranno nel
Centro-Nord del 145%, al Sud del 75%.
Mercato del lavoro – Nel 2008 il divario dell’Italia con l’Unione europea sul fronte
occupazione si è ulteriormente ampliato, con una distanza di 11 punti per il tasso di
occupazione complessivo e poco al di sotto dei 13 punti per quello femminile. A pesare
maggiormente il Mezzogiorno, dove il tasso di occupazione è sceso al 46,1%.
Gli occupati infatti crescono al Centro-Nord di 217 mila unità, mentre scendono di 34
mila nel Mezzogiorno.
Gli stranieri nuovi occupati nel 2008 sono stati 249 mila, 223 mila al Centro-Nord e 26
mila nel Mezzogiorno.
Mercato del lavoro regionale - Risultati positivi per il terzo anno consecutivo per
Molise (1,6%), Puglia (0,3%) e Abruzzo (3,2%). Crollano gli occupati soprattutto in
Campania (-2,2%) e Calabria (-1,2%), mentre flessioni più contenute si rilevano nelle
Isole (-0,6% e –0,3% in Sicilia e Sardegna). In Campania tiene solo l’agricoltura
(+4,3%), mentre cala l’occupazione nell’industria (-2,8%) e nei servizi (-1,4%).
Occupati e settori – La domanda di lavoro in agricoltura continua a scendere,
soprattutto al Sud (-2,8% contro il -1,5% del Centro-Nord). In calo anche l’industria, che
segna -2,4% al Sud (dopo il +2,9% del 2007) e -1,1% nell’altra ripartizione. La
dinamica dell’occupazione industriale è sensibilmente negativa in tutte le regioni del
Sud, con l’eccezione del Molise, dove cresce del 4% per il forte boom del settore
delle costruzioni (+16,4%) e della Sicilia, dove flette soltanto dello 0,7% perché
l’incremento delle costruzioni (2,7%) compensa in larga parte la flessione
dell’industria in senso stretto (-4,2%).
Positivo solo il terziario, che registra comunque un rallentamento rispetto agli scorsi
anni: +0,2% al Sud (era crescita zero nel 2007) e +0,7% (+1,5% nel 2007).
Occupati e contratti – A livello contrattuale in Italia gli atipici crescono di 200mila
unità, di cui 26mila al Sud. Tra gli atipici aumentano i part-time e al Sud i part-time in
crescita sono soprattutto “maschili”.
Nel 2008 la quota nazionale di neoassunti con contratto a termine è del 47%, ma nel Sud
è in discesa (da 43% a 41%).
Da segnalare che nel Sud il contratto atipico viene spesso usato non come tipologia più
flessibile nell’accesso al primo lavoro, ma in sostituzione di contratti standard,
trasformandosi così da strumento di flessibilità in trappola di precarietà.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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Disoccupati – Nel 2008 il tasso di disoccupazione nazionale è salito al 6,7% rispetto al
6,1% del 2007. I disoccupati sono aumentati più al Centro-Nord (+15,3%) che al Sud
(+9,8%). Nella classe di età 15-24 anni la disoccupazione è arrivata al 14,5% al Centro-
Nord e al 33,6% al Sud. Qui crescono anche i disoccupati di lunga durata (sono il 6,4%
del totale, erano il 5,9% nel 2007).
All’Italia spetta il non invidiabile primato del tasso di disoccupazione giovanile più alto
in Europa, di cui è responsabile soprattutto il Mezzogiorno. Nel 2008 solo il 17% dei
giovani meridionali in età 15-24anni lavora, contro il 30% del Centro-Nord. Viceversa,
il tasso di disoccupazione nella classe 25-34 anni è al Sud del 16,6% contro il 5,5%
dell’altra ripartizione.
Al Sud, cresce la zona grigia della disoccupazione, che raggruppa scoraggiati e
lavoratori potenziali: 95mila persone in più nel solo Mezzogiorno l’anno scorso. Dal
2004 al 2008 infatti i disoccupati impliciti e gli scoraggiati sono aumentati di 424mila
unità. Considerando anche questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo del
Sud salirebbe a oltre il 22%.
Sommerso – Cala il lavoro nero nel 2008, con 22mila unità irregolari in meno, per
effetto anche della campagna di regolarizzazione dei lavoratori stranieri, soprattutto nel
settore edile. Qui ad esempio nel Sud il tasso di irregolarità è sceso dal 29,7% del 2001
al 18,6% del 2008.
Nel 2008 in Italia i lavoratori in nero sono stimati in 2 milioni 943 mila, l’11,8% del
totale. Ma non tutti sono lavoratori in nero “totali”: poco più di un terzo è rappresentato
da secondi lavori, il 12% circa da stranieri, e solo il 55% circa da unità di lavoro
irregolari in senso stretto. I settori di maggiore diffusione sono l’agricoltura e i servizi.
Se al Centro-Nord il lavoro nero è una forma per integrare un primo reddito o per gli
stranieri per inserirsi nel mercato del lavoro, al Sud è spesso invece una consuetudine
diffusa riservata ai residenti. Nel 2008 al Sud è irregolare 1 lavoratore su 5, pari in
valori assoluti a 1 milione 300mila persone.
Nel settore industriale al Sud circa 1 lavoratore su 8 (12,8%) è in nero, con tasso di
irregolarità del 19% nelle costruzioni.
A livello territoriale la regione più “nera” è la Calabria, con il 26% di manodopera
irregolare, che sale a quasi il 50% in agricoltura e al 40% nelle costruzioni. A seguire,
la Basilicata (20,3%), con un forte peso del settore industriale, Sicilia (19,8%), Sardegna
(19,5%) e Puglia (17,4%).
Il più alto numero di lavoratori in nero in valori assoluti spetta alla Campania (329mila
persone), che dal 2000 ha però perso il 19,4% (79mila unità).
Migrazioni – Caso unico in Europa, l’Italia continua a presentarsi come un Paese
spaccato in due sul fronte migratorio: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo
interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla con
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni. Le campagne meridionali si
spopolano, ma non a vantaggio delle vicine aree urbane.
I posti di lavoro del Mezzogiorno sono in numero assai inferiore a quello degli occupati.
Ed è la carenza di domanda di figure professionali di livello medio-alto a costituire la
principale spinta all’emigrazione.
Tra il 1997 e il 2008 circa 700mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno.
Nel 2008 il Mezzogiorno ha perso oltre 122mila residenti a favore delle regioni del
Centro-Nord a fronte di un rientro di circa 60 mila persone. Riguardo alla provenienza,
oltre l’87% delle partenze ha origine in tre regioni: Campania, Puglia, Sicilia.
L’emorragia più forte in Campania (-25 mila), a seguire Puglia e Sicilia
rispettivamente con 12,2 mila e 11,6 mila unità in meno.
In controtendenza invece Abruzzo e Sardegna, che nel 2008 hanno attratto flussi
migratori dall’interno intercettato flussi esterni di una certa consistenza.
Nel 2008 sono stati 173.000 gli occupati residenti nel Mezzogiorno ma con un posto
di lavoro al Centro-Nord o all’estero, 23 mila in più del 2007 (+15,3%). Sono i
pendolari di lungo raggio, cittadini a termine che rientrano a casa nel week end o un paio
di volte al mese. Sono giovani e con un livello di studio medio-alto: l’80% ha meno di
45 anni e quasi il 50% svolge professioni di livello elevato. Il 24% è laureato. Non
lasciano la residenza generalmente perché non lo giustificherebbe né il costo della vita
nelle aree urbane né un contratto di lavoro a tempo. Spesso sono maschi, singles,
dipendenti full time in una fase transitoria della loro vita, come l’ingresso o
l’assestamento nel mercato del lavoro.
Le regioni che attraggono maggiormente i pendolari sono Lombardia, Emilia-Romagna
e Lazio.
Da segnalare però la crescita dei pendolari meridionali verso altre province del
Mezzogiorno, pur lontane dal luogo d’origine: 60mila nel 2008 (erano24mila nel
2007).
In calo i lavoratori meridionali all’estero: -4%, arrivando nel 2008 a 11mila 700 persone.
Una curiosità: la crisi ha colpito anche i pendolari meridionali. Se infatti il
movimento Sud-Nord è cresciuto nei primi sei mesi del 2008, con l’aggravarsi del
quadro economico 20mila persone sono rientrate al Sud, soprattutto donne.
Laurea, mobilità e lavoro – La mobilità geografica Sud-Nord permette una mobilità
sociale. I laureati meridionali che si spostano dopo la laurea al Centro-Nord vanno
incontro a contratti meno stabili rispetto a chi rimane, ma a uno stipendio più alto. Il
50% dei giovani immobili al Sud non arriva a 1000 euro al mese, mentre il 63% di chi è
partito dopo la laurea guadagna tra 1000 e 1500 euro e oltre il 16% più di 1500 euro.
Chi resta al Sud o rientra dopo aver studiato al Nord trova però lavoro prima di chi si
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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sposta dopo la laurea. Tra chi parte dopo aver conseguito la laurea al Sud e chi dopo il
diploma, alla fine in termini di contratto, occupazione e retribuzione i più avvantaggiati
sono i secondi.
Dal 1992 al 2004 i laureati meridionali che hanno studiato al Nord e lì sono rimasti sono
arrivati a toccare il 67% del totale.
In base a dati Istat, nel 2004 (gli ultimi disponibili) 24.700 meridionali sono andati a
studiare al Centro-Nord a fronte di un dato inverso davvero irrisorio (meno dell’1% del
totale). Il 95,7% dei laureati settentrionali, infatti, lavora nel luogo in cui ha studiato.
Riguardo all’occupazione, nel 2007 su 96mila laureati meridionali 33mila erano
disoccupati (il 78% residente al Sud), e dei 62mila occupati, 26mila lavoravano al
Centro-Nord.
Rispetto ai primi anni 2000 sono cresciuti i giovani meridionali trasferiti al Centro-Nord
dopo il diploma che si sono laureati lì e lì lavorano, mentre sono calati i laureati negli
atenei meridionali in partenza dopo la laurea in cerca di lavoro. In vistosa crescita le
partenze dei laureati “eccellenti”: nel 2004 partiva il 25% dei laureati meridionali
con il massimo dei voti; tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38%.
Riguardo al tipo di studi, i più mobili sono i laureati in architettura, seguiti dai laureati in
materie scientifiche.
Ma quanto paga la scelta di un ateneo piuttosto che un altro? Dipende dalla distanza
temporale tra la fine degli studi e il primo lavoro. Per i laureati meridionali che hanno
trovato lavoro a un anno dalla laurea la scelta del tipo e della sede dell’Università è stato
determinante, mentre al Centro-Nord la maggiore domanda di lavoro non spinge a
selezionare i giovani in base all’ateneo di provenienza. A tre anni dalla laurea, invece, la
scelta dell’ateneo è indifferente.
Scuole, atenei e abbandoni scolastici – Negli ultimi anni è cresciuta l’età di ingresso
nel mondo del lavoro anche per effetto di una più diffusa scolarizzazione. Nonostante
ciò, la scuola italiana non consente di rimuovere gli ostacoli alla mobilità sociale, e
soprattutto nel Sud i figli tendono a ereditare il destino dei padri.
Mentre sia a Nord che a Sud la partecipazione alla scuola materna ed elementare è
pressoché totale, nel 2008 il tasso di scolarità meridionale relativo alla scuola secondaria
ha superato il Centro-Nord (95,4% contro 91,2%).
Tuttavia è proprio in questa classe che si registrano gli abbandoni scolastici, soprattutto
al primo anno di corso (il 13% al Sud contro il 9,6% del Centro-Nord). Nonostante una
leggera tendenza alla riduzione, dati simili allontano il raggiungimento del target di
Lisbona del 15% di abbandoni scolastici precoci ( l’Italia è ferma al 19,8%, ma il Sud è
quasi al 24%).
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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Il Sud recupera invece nella scuola secondaria superiore: è lontano il target del diploma
all’85% dei giovani 20-24enni entro il 2010, ma dal 2000 al 2008 il Sud è passato dal 67
a oltre il 72% di giovani diplomati.
Recupero anche a livello universitario: dal 2000 al 2008 i laureati meridionali sono più
che raddoppiati, da 54 a 118mila. Notevole e positivo la crescita di laureati in materie
scientifiche: dal 2000 al 2006 il Sud è passato dal 3,8% all’8,4%. Nota dolente i fuori
corso: il 92% dei laureati meridionali non riesce a laurearsi entro i termini e quasi il 50%
lo fa a oltre 4 anni dal termine regolare previsto.
Rappresenta un importante segnale di allarme il fatto che, dopo una lunga fase di
crescita ininterrotta, il tasso d’iscrizione all’Università al Sud negli ultimi anni abbia
comincia a declinare. Se fino a un recente passato la convinzione della spendibilità di un
titolo di studio terziario sul mercato del lavoro ha favorito l’espansione dei livelli di
partecipazione come fattore produttivo, oltre che come elemento umano, sembra
emergere nella fase attuale un certo scoraggiamento fra le coorti più giovani a investire
nell’istruzione superiore.
Studio e qualità – Dai dati PISA emerge un quadro deludente per la scuola italiana e
soprattutto meridionale. I 15enni con difficoltà di lettura nel 2006 sono stati al Sud ben il
37% e addirittura il 46% ha dichiarato scarse competenze in matematica.
I dati del monitoraggio nazionale dell’INVALSI confermano il deficit di competenze
degli studenti della scuola secondaria superiore del Sud, mentre per quanto riguarda la
scuola elementare meridionale evidenziano un livello qualitativo al sud superiore alla
media nazionale.
Rendimento dell’investimento formativo – Ma quanto ripaga studiare? Quanto rende
l’istruzione? Il titolo di studio riesce a ripagare in termini di più facile accesso al mondo
del lavoro e di uno stipendio più alto, ma soltanto dopo un lasso di tempo. Il fattore
tempo è infatti soprattutto al Sud dove il rendimento è massimo tra i 40 e i 64 anni
raggiungendo il valore di 180. Mentre la laurea dai 25 ai 39 anni permette uno stipendio
più pesante del 20% al Sud, oltre i 40 anni essa permette un incremento del 40%.
Cosa dice la SVIMEZ – Nel Mezzogiorno le debolezze della rete formativa italiana si
associano ad un contesto produttivo debole e ad un sistema sociale sostanzialmente
bloccato, impedendo così ai progressi quantitativi realizzati nei tassi di istruzione di
tradursi in sviluppo economico e civile.
Le misure di policy volte ad incrementare l’offerta di competenze da parte dei nuovi
entranti sul mercato del lavoro hanno finito per incrementare in questi anni il livello di
educational mismatch, tra qualità dell’offerta di lavoro e competenze richieste dalle
imprese.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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La mobilità dei laureati meridionali se da un lato deprime le prospettive di crescita
dell’intera economia meridionale, dall’altro appare un mezzo per consentire una
valorizzazione del merito e quindi una maggiore mobilità sociale.
Il mancato superamento dei vincoli costituiti da un apparato produttivo debole e da un
sistema sociale bloccato, nonostante i progressi nella formazione scolastica
universitaria, condanna il Mezzogiorno al ruolo di fornitore di risorse umane
qualificate al resto del Paese e i suoi migliori giovani a cercare altrove le modalità per
mettere a frutto le proprie competenze e realizzare i propri sogni.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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POLITICHE PER LO STATO SOCIALE
Spesa per protezione sociale – Lo Stato sociale è inadeguato nei confronti di alcuni
bisogni essenziali, come le politiche di sostegno alla famiglia, le nuove forme di povertà,
l’aumento dei rischi per i futuri anziani, e, invece, assicura un’elevata protezione del
reddito agli occupati regolari. La quota di Pil destinata alla protezione sociale nei 25
Paesi dell’Unione Europea è pari mediamente al 27%, in Italia è solo lievemente più
contenuta, 26,6%, ma comunque lontana da nazioni come la Francia che destina a
quest’obiettivo il 31,1% del Prodotto lordo, la Svezia il 30,7%, il Belgio il 30,1%.
Divari Nord Sud nella spesa sociale - Nel Mezzogiorno l’incidenza della spesa sociale
sul Pil è largamente superiore alla media europea, collocandosi al 33,3%, mentre al
Centro Nord è attestata al 24,7%. Ma se valutiamo, più correttamente la spesa in termini
pro capite risulta un deficit consistente di spesa nelle regioni del Sud: nel Centro-Nord
essa è infatti pari a 7.200 euro per abitante a fronte dei 5.600 euro del Mezzogiorno.
L’anomalia del sistema del welfare italiano è soprattutto nella sua composizione,
troppo sbilanciata verso i trattamenti previdenziali, ai quali destina circa il 20% in
più degli altri partners europei: per le pensioni il livello di spesa pro capite è più
elevato al Nord, dove è pari a circa 1,3 volte rispetto alla media dei 25 Paesi dell’Ue,
mentre al Sud è al di sotto di tale media.
La spesa per la disoccupazione nella Ue –Per quel che riguarda la spesa per le
politiche di sostegno al reddito nei casi di disoccupazione o di corsi di formazione per il
reinserimento nel mercato del lavoro, restano forti differenze tra i vari Stati: la media
dell’Ue è del 5,6% del totale ma varia tra il 12% di Belgio e Spagna e il 2% dell’Italia,
anche se nel Sud tale quota è superiore di due volte alla media nazionale perché in
quest’area vi è la maggior quantità di persone in cerca di occupazione.
Il sistema pensionistico – La riorganizzazione e razionalizzazione della spesa sociale
passa attraverso la realizzazione di politiche di welfare to work, puntando sempre più su
un’inclusione attiva nel mercato del lavoro. Ma tale obiettivo è condizionato dal sistema
previdenziale, in particolare per quel che riguarda la sua sostenibilità finanziaria. Oggi
l’Italia è tra i partners Ue quello con la maggiore incidenza degli oneri previdenziali sul
totale delle prestazioni sociali. Peraltro la spesa per le pensioni è fortemente
sperequata sotto il profilo territoriale, in quanto il 68,6% è erogato al Centro Nord,
che assorbe il 72,4% delle risorse, mentre ai pensionati meridionali va il 31,3%, che
equivale a una quota di risorse del 27,6%.
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Pensionati assistenziali – Le pensioni assistenziali includono tutte quelle prestazioni
previdenziali non legate alla contribuzione che hanno il compito di garantire un reddito
minimo alle persone. La percentuale di pensionati assistenziali nelle aree meridionali
supera di circa 12 punti quella del resto del Paese, perché il reddito pro capite dei
beneficiari è al Sud inferiore del 20% rispetto a quelli residenti nel resto d’Italia. Se si
eccettuano le pensioni assistenziali, per tutti gli altri assegni previdenziali prevalgono i
percettori nel Centro Nord rispetto a quelli nel Mezzogiorno. Non solo, ma
complessivamente al Sud i pensionati di vecchiaia che hanno versato i contributi e
percepiscono meno di 1.000 euro al mese, sono il 50%; il 40% nel Centro-Nord
Pensioni minime e maggiorazione sociale – Il trattamento minimo è un’integrazione
erogata dallo Stato ai pensionati il cui assegno è inferiore al minimo vitale. La
maggiorazione sociale è, invece, condizionata oltre che dal reddito, anche dall’età
perché bisogna avere almeno 70 anni o avere particolari inabilità. Su un totale di 16
milioni di pensionati, circa 1,3 milioni (590 mila al Sud) sono i titolari di pensioni con
maggiorazione sociale, mentre sono 4,3 milioni (1,5 milioni al Sud) i pensionati che
ricevono un’integrazione al minimo.
Le pensioni sociali sono circa 800 mila, di cui 400 mila al Sud. I valori reddituali medi
annui delle pensioni sociali è 8 mila euro al Centro-Nord e 7,5 mila nel Mezzogiorno.
In Italia è il 27% dei soggetti in pensione a non riuscire a raggiungere la soglia del
minimo vitale, la maggiore parte dei quali risiede al Sud.
Welfare locale – I Comuni del Nord gestiscono più della metà delle risorse sociali a
livello locale, quelli del Mezzogiorno solo il 20%. Oltre l’80% delle risorse per il
welfare locale è destinato a famiglia e minori, in particolare al Sud, e ad anziani e
disabili. Ma anche in questo caso permangono notevoli differenze territoriali, perché la
spesa per le famiglie e i minori varia tra i 130 euro pro capite del Nord e i 48,6 del
Mezzogiorno, con una media nazionale attestata a 95 euro. Più delle metà di questi
finanziamenti va a sostenere il funzionamento degli asili nido e dei servizi per l’infanzia.
Lo stesso avviene se si analizza la spesa pro capite per gli anziani: in media in Italia è
116,7 euro ma al Nord supera i 150, al Sud si ferma a 66,3 euro. Una differenza ancor
più marcata esiste per i fondi ai disabili, con 3.500 euro pro capite al Nord, 2.300 al
Centro e appena 806 nelle aree meridionali: in questa cifra i maggiori esborsi sono quelli
per l’assistenza domiciliare, molto più diffusa al Nord che al Sud.
Ammortizzatori sociali – La disoccupazione, in seguito alla grave crisi economica, sta
aumentando vertiginosamente. Nel primo trimestre di quest’anno ha raggiunto i 2
milioni di persone. E contestualmente è cresciuto in modo esponenziale anche il ricorso
alla Cassa integrazione guadagni, che agli inizi del 2009 riguardava circa 400mila
lavoratori. Le risorse messe a disposizione dal Governo per fronteggiare questa difficile
fase sono 32 miliardi nel biennio 2009 – 2010, di cui 8 per i trattamenti in deroga. E per
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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la prima volta la misura è stata estesa ad apprendisti e collaboratori a progetto. Questo
strumento, però, non garantisce una copertura adeguata a tutti i lavoratori: dei
circa 1.700mila disoccupati, di cui 890mila nel Mezzogiorno, possono usufruire dei
sussidi solo quanti abbiano precedenti esperienze lavorative, che sono 1.200mila di cui
560mila al Sud. Ma da questo numero vanno poi sottratti i disoccupati da oltre un anno
che non possono più goderne, che sono in tutto circa 460mila, di cui 250mila nelle aree
meridionali. Ciò significa che solo la metà dei disoccupati, circa 850mila di cui
350mila nel Sud, potrà avere un sussidio: di questi il 60% nel Centro Nord e il 40%
al Sud. Su un totale di 14 milioni e 700mila lavoratori dipendenti e parasubordinati nel
nostro Paese, di cui 4 milioni al Sud, finora 3 milioni e 200mila, di cui 950mila nel
Mezzogiorno, erano esclusi da queste forme di tutela. Dopo l’intervento del Governo si
è ampliata la platea dei beneficiari: il numero degli esclusi si ridurrebbe a circa 2
milioni, di cui 650mila nelle aree meridionali, in base a una stima prudenziale, o
addirittura a 1 milione e 600mila, di cui mezzo milione al Sud, in base a previsioni più
ottimistiche. Un fatto è certo: non è il Nord a subire maggiormente l’impatto della crisi,
se solo si considera il fatto che in Regioni come la Campania e la Sicilia lavora poco più
del 40% della popolazione e le donne in attività sono meno di 3 su 10.
L’andamento della Cig – Nel periodo da gennaio a giugno del 2009 i lavoratori a cassa
integrazione sono stati circa 415mila, di cui 330mila al Centro Nord e 85mila al Sud.
L’accordo sugli ammortizzatori sociali raggiunto tra Governo e Regioni è stato
finanziato in larga misura con risorse delle Regioni meridionali: infatti, su 8 miliardi
complessivi, 2,6 sono a carico dell’Fse e 4 del Fas.
Manca un reddito minimo di inserimento – Manca in Italia una forma di reddito
minimo di inserimento finalizzato al sostegno delle famiglie a più basso tenore di vita.
Eppure i più recenti dati Eurostat collocano il nostro Paese al terz’ultimo posto in
Europa quanto a livelli di povertà, peggio di noi solo Grecia e Lettonia. Una povertà
che è in gran parte meridionale, dove l’incidenza è doppia rispetto alla media
nazionale e addirittura cinque volte superiore a quella del Nord . La Comunità
Europea ha invitato i Paesi membri a dotarsi di una forma di reddito minimo che
garantisca anche ai poveri una vita adeguata. Oggi siamo l’unica nazione, insieme alla
Grecia, a non averlo, anche se ci sono stati vari tentativi di introdurre il reddito minimo
di inserimento e il reddito di ultima istanza.
Le misure di sostegno al reddito – Il Governo ha cancellato l’Ici sulla prima casa e ha
introdotto il bonus famiglie e la social card. Il costo dell’abolizione dell’imposta
comunale sugli immobili è stato di oltre 2 miliardi per le casse dello Stato, con un
beneficio ai proprietari di circa 60 euro al Sud, 129 al Centro e 88 al Nord. Il bonus
famiglie riguarda 6 milioni di nuclei, costa 2,1 miliardi, consiste in un trasferimento una
tantum di una somma variabile tra i 200 e i 1.000 euro a seconda del reddito e della
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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dimensione familiare. La misura avvantaggia le famiglie più povere ed è il Sud a trarne i
maggiori vantaggi: nelle aree meridionali, infatti, risiede il 48% dei beneficiari, contro il
36% del Nord . La social card è un buono acquisto pari a 40 euro mensili destinato ai
cittadini con basso reddito che abbiano almeno 65 anni e ai genitori con figli di età
inferiore a 3 anni. Per averlo bisogna documentare un reddito inferiore a 6mila euro, non
più di una casa e una sola autovettura. Costo stimato 490 milioni. I beneficiari sono
potenzialmente un milione, in gran parte anziani. L’intervento per il 52% è destinato al
Sud, per il 32% al Nord, per il 16% al Centro.
Se consideriamo che dal prossimo anno certamente verrà meno il bonus famiglia
mentre rimarranno gli effetti della detrazione ICI (non si sa ancora bene se verrà
continuata l’esperienza della social card) l’impatto complessivo della manovra sarà
più favorevole alle regioni del Centro-Nord piuttosto che a quelle del Sud.
I pensionati giovani – Bisogna porre grande attenzione sull’età di pensionamento e sui
motivi che influenzano la decisione di abbandonare il lavoro. L’età prevista è
sensibilmente più elevata al Sud, dove la metà degli occupati tra 50 e 59 anni prevede di
terminare il lavoro a 65 anni e anche oltre: ciò perché nel Mezzogiorno più difficilmente
si riescono ad ottenere requisiti contributivi sufficienti per garantirsi una pensione
adeguata. Tendenzialmente l’età di pensionamento coincide con quella in cui si
maturano i diritti anagrafici e contributivi per percepire una pensione di anzianità o di
vecchiaia. Coloro che decidono di prolungare l’attività lavorativa sono prevalente
uomini che svolgono un lavoro da dirigente o quadro o che siano imprenditori. Molte
persone sarebbero altresì pronte a ritardare l’età di pensionamento se potessero
usufruire di bonus o di maggiori flessibilità nell’orario o di forme di part time.
Cosa dice la Svimez - In Italia è ancora irrisolto il problema di come finanziare
maggiori aiuti economici ai lavoratori espulsi dal processo produttivo e ad assicurare
un minimo di sussistenza ai più poveri. La SVIMEZ, utilizzando il modello MICROREG
dell’IRPET, ha condotto una simulazione per valutar, il costo dell’introduzione di una
forma di reddito di ultima istanza in grado di riportare il reddito familiare al di sopra
della soglia di povertà assoluta. L’esercizio condotto ha valutato in circa 2 miliardi di
euro il costo di un intervento universale in grado di far uscire tutte le famiglie dalla
condizione di povertà, assicurando il differenziale tra il reddito percepito e la soglia
definita dall’ISTAT. Il costo di tale intervento, che renderebbe il nostro sistema di
protezione sociale più omogeneo al modello prevalente negli altri Paesi europei, se
confrontato con quello di misure recenti come l’abolizione dell’ICI sulla prima casa,
non appare incompatibile con gli equilibri di finanza pubblica. Nel medio lungo periodo
è, però, indispensabile ridurre la spesa previdenziale, attraverso lo scoraggiamento
delle varie forme di pensionamento anticipato.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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LE POLITICHE CONTRO LA CRIMINALITA’
Criminalità e insicurezza – In rapporto alla popolazione residente, nel Mezzogiorno il
numero dei reati denunciati (38,8 per mille abitanti) è decisamente inferiore a quello del
Centro-Nord (55,0). In sintonia con tali dati, sono le famiglie settentrionali a
dichiarare di sentirsi più insicure di quelle meridionali: nel 2008 sono state il 37,5%
rispetto al 35,2%. In entrambe le aree il peggioramento della percezione di insicurezza,
visibile dai grafici 1995-2008, è stato forte: nel 2000 al Centro-Nord non si sentivano
sicure quasi 1 famiglia su 3 (31,5%), mentre al Sud il dato era del 28,7%. A livello
regionale le differenze sono molto elevate: più a rischio i nuclei campani (53,6%, la
percentuale più alta a livello nazionale) e pugliesi (36,5%), mentre si sentono più sicure
le famiglie molisane (16,7%) e lucane (11,8%).
Criminalità organizzata e globalizzazione - Le organizzazioni criminali, veloci e
attente ad adeguare il proprio core business ai cambiamenti esterni, hanno saputo
cogliere le opportunità offerte dalla globalizzazione e oggi, oltre ad essere radicate nei
territori meridionali d’origine, sono sempre più diffuse con attività economiche diverse,
in numerose altre regioni italiane e straniere.
La ‘ndrangheta - Radicata in Calabria, ma ormai presente in tutto il mondo, è ormai
diventata leader nel traffico mondiale di droghe (soprattutto cocaina), ma forte anche
nelle estorsioni, usura e traffico di armi. In Italia, la ‘ndrangheta ha notevoli interessi
anche Milano, Brescia, Roma e in Piemonte. Nel 2007 secondo l’Eurispes il suo
fatturato è stato di 44 miliardi di euro, pari al 2,9% del Pil italiano.
Cosa Nostra - La mafia siciliana, dopo gli arresti eccellenti degli ultimi anni, sta
vivendo una fase di assestamento e riorganizzazione interna. Essa sta però mostrando
una grande capacità di mantenere intatta la sua vitalità e pericolosità. Sono i mercati
ortofrutticoli, le sale da gioco e soprattutto la grande distribuzione alimentare le
nuove frontiere del business mafioso; attività che si aggiungono a quelle tradizionali
dell’estorsione e dell’inserimento nei pubblici appalti. L’esistenza di numerose attività
criminali si è segnalata anche a Modena e a Genova.
La camorra - “Specializzata” in traffico di stupefacenti, estorsioni, racket, gioco
d’azzardo e usura, negli ultimi anni la camorra ha visto crescere il core business
soprattutto nell’offerta di servizi alle imprese, approfittando anche della domanda di
abbattimento dei costi da parte di imprese legali. Con lo smaltimento illegale dei rifiuti,
le fatturazioni “truccate”, l’espulsione di imprese “non gradite” nella gestione di
impianti, la camorra influenza in modo determinante l’economia campana.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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Sacra Corona Unita - Fortemente ridimensionata dall’azione di contrasto operata dalle
Forze dell’ordine negli ultimi anni, la “Sacra Corona Unita” resta concentrata nel
traffico di stupefacenti, armi e clandestini. Fuori regione è operativa soprattutto in
Lombardia e nella vicina Basilicata.
Criminalità, crisi e terremoto – La crisi economica sembra essere un vantaggio per la
criminalità organizzata, che può disporre di ingenti risorse provenienti dalle sue attività
illecite, mentre colpisce pesantemente famiglie e imprese, che diventano così più
vulnerabili alle pressioni criminali. Il rilancio dell’intervento statale nell’economia, ad
esempio nella ricostruzione post terremoto dell’Abruzzo, potrebbe convogliare gli
interessi delle imprese mafiose attive nell’edilizia, che già in Umbria dopo il sisma del
1996 diedero prova di un’intensa attività nella gestione degli appalti. A ciò si sta
rispondendo con l’assicurazione di una maggiore vigilanza nella spesa pubblica.
Il contrasto alla criminalità organizzata
I beni confiscati - Dal 1982 (anno in cui fu istituita la legge Rognoni-La Torre) ad oggi
sono stati 8.446 gli immobili confiscati in Italia; di questi, il 40% risulta ancora in
gestione al Demanio, l’8% è stato destinato ma non consegnato e solo il restante 52%,
pari a 4.372 immobili, destinato e consegnato. Il 47% del totale degli immobili
confiscati si concentra in Sicilia, dove però ben 2.243 beni (il 57% del totale) è ancora
in mano al Demanio. Riguardo alle regioni del Centro-Nord, i beni confiscati sono
102 in Piemonte, 610 in Lombardia e 328 nel Lazio. Tra il 2007 e il 2008 si è assistito
ad una forte accelerazione (+70% a livello nazionale) del numero di immobili destinati
ai differenti enti per il loro riutilizzo; l’aumento più vistoso si rileva in Calabria (197%),
seguita dalla Campania (112%) e dalla Lombardia (191%). Per quanto riguarda le
aziende, le confische operate dalle forze dell’ordine ammontano a 1.139, di cui 935 (pari
all’82%) risulta già destinato, a testimonianza degli importanti passi avanti compiuti
soprattutto negli ultimi anni. Va però segnalato che solo meno della metà delle aziende
consegnate risulta realmente utilizzata e che delle 204 aziende che sono ancora in carico
dell’Agenzia del Demanio solo il 10% ha ancora personale e porta avanti una attività
produttiva.
Criminalità e governi locali –Per realizzare una maggiore trasparenza e controllabilità
delle procedure degli appalti pubblici si sono istituite le cosiddette “Stazioni Uniche
Appaltanti”, la prima in Sicilia nel 2005, la seconda in Calabria nel 2009. L’esperienza
siciliana non sembra aver prodotto per ora risultati eclatanti, anche in relazione alle
notevoli risorse economiche destinate al suo funzionamento. Per la Calabria, al momento
si può solo dire che dalla lettura del dispositivo legislativo che ha istituito la Stazione
Unica si ha l’impressione che si possano evitare alcuni degli errori commessi in Sicilia.
Sintesi Rapporto SVIMEZ 2009
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In merito alle due Regioni va anche ricordato la decisione di costituirsi parte civile in
tutti i processi di mafia per fatti accaduti sul loro territorio.
Vanno anche ricordate alcune altre iniziative tese ad ostacolare le azioni criminose della
criminalità organizzata, come la decisione di Confindustria di espellere gli imprenditori
che non denunciano le richieste estorsive della mafia; il “Codice antimafia” adottato da
Italcementi; il protocollo d’intesa per lo “Sviluppo locale in sicurezza e legalità”, tra il
prefetto di Napoli e il presidente dell’Unione degli industriali napoletani; l’istituzione di
una Commissione, decisa dalla Regione Sicilia, per redigere una serie di norme
vincolanti per le pubbliche amministrazioni per impedire ogni forma di infiltrazione
mafiosa.
Criminalità e società civile – L’eterogeneo insieme di forze della società civile,
comunemente indicate con il termine di “movimento antimafia” ha avuto ruolo decisivo
per la promulgazione di quei provvedimenti normativi che oggi costituiscono i capisaldi
nella lotta alla mafia. Le tre esperienze più significative sono costituite da “Addio Pizzo”
di Palermo, “Ammazzateci tutti” di Locri e da “Libera”, che ha il grande merito di essere
stata determinante nella istituzione della legge sul riutilizzo a fini sociali dei patrimoni
mafiosi. Le tre organizzazioni, che si sono ormai estese in tutto il territorio nazionale,
attraverso le loro campagne di sensibilizzazione sono riuscite ad interrompere quel muro
di silenzio che caratterizzava l’atteggiamento comune nei confronti della mafia e ad
innescare un processo di ribellione al racket.
Politiche per la Sicurezza – Il bilancio del primo biennio di attività del Programma
Operativo Nazionale “Sicurezza per lo Sviluppo ” 2007-2013 appare decisamente
positivo per l’Asse 1, che riguarda un ambito di intervento di diretta competenza delle
forze dell’ordine, mentre un preoccupante ritardo si rileva per l’Asse 2, finalizzato alla
diffusione di migliori condizioni di legalità e giustizia a cittadini e imprese. Per l’Asse 1,
infatti, sono stati approvati progetti per un importo di 394,1 milioni di euro, pari al 60%
della dotazione (573,2 milioni); per l’Asse 2 si sono invece spesi 64,6 milioni di euro,
pari ad appena il 12% della dotazione (538,5 milioni). Desta preoccupazione, in
particolare, che non figurano progetti approvati in merito ad interventi di grande rilievo,
come quello sull’impatto migratorio e sulla trasparenza della pubblica amministrazione.

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